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4 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Obesità, l’effetto yo-yo della dieta: potrebbe aumentare il rischio di morte

L’associazione era già nota per i soggetti ad alto rischio cardiovascolare: le variazioni frequenti di peso corporeo, ovvero il cosiddetto effetto yo-yo, che si ha con un rapido recupero del peso dopo averlo perso con una dieta, è associato a un maggior rischio di mortalità.

Un nuovo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism ha indagato la relazione tra fluttuazione del peso corporeo, mortalità, eventi cardiovascolari e incidenza di diabete in una popolazione sana.

I ricercatori hanno considerato una coorte 3.678 persone di entrambi i sessi dal Korean Genome and Epidemiology Study e hanno confrontato la variabialità media consecutiva del peso corporeo e le implicazioni per la salute, monitorate ogni 2 anni nell’arco di un periodo totale di 16 anni.

Alla partenza dello studio i partecipanti con un’alta media di fluttuazioni di peso corporeo erano più spesso obesi, avevano livelli più elevati di pressione sanguigna e di emoglobina glicata (HbA1c), rispetto ai soggetti con meno fluttuazioni.

L’aumento della media delle variazioni di peso è risultato associato alla mortalità (HR 1,46, IC 95% 1,32-1,62, P <0,001), mentre non si è trovata un’associazione con gli eventi cardiovascolari. Per quanto riguarda l’incidenza del diabete i risultati variano secondo il Body Mass Index. I soggetti con BMI <25 kg/m2  l’effetto yo-yo incide negativamente aumentando il rischio di diabete (HR 1,36, IC 95% 1,11-1,65, P = 0,003) mentre in quelli con un BMI più alto ( ≥ 25 kg/m2) il rischio di sviluppare la malattia diminuisce (HR 0,76, IC 95% 0,60-0,95, P = 0,014).

“Questo studio dimostra che frequenti variazioni del peso possono aumentare il rischio di morte di una persona”, ha detto l’autore principale dello studio, Hak C. Jang, MD, Ph.D., professore dell’Università Nazionale di Seoul (SNU) College of Medicine e Seoul National University Bundang Hospital in Seongnam, (Corea del Sud). “Tuttavia, abbiamo anche concluso che la perdita di peso a causa di diete cicliche può ridurre il rischio di sviluppare il diabete nelle persone con obesità”.

Va ricordato che secondo alcune stime l’80 per cento delle persone che dimagriscono con la dieta gradualmente finiscono per riguadagnare lo stesso peso. Secondo la Società di Endocrinologia americana quando un individuo obeso perde peso, il corpo riduce la quantità di energia consumata sia a riposo, sia durante l’esercizio fisico e le attività quotidiane, mentre aumenta il senso di fame. Questa combinazione di minore dispendio energetico e fame crea una “tempesta metabolica perfetta”, condizione ideale per l’aumento di peso

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4 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Italia, siamo davvero la patria del buon cibo?

In quale paese del mondo si mangia meglio? La domanda non riguarda solo i gourmet e gli appassionati di gastronomia. La catena alimentare, dalla produzione al consumo, è un processo che coinvolge aspetti economici, sociali e di salute. Per dare una valutazione delle politiche alimentari, ma soprattutto per avere una visione globale della qualità nei processi di produzione e consumo degli alimenti Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) in collaborazione con The Economist Intelligence Unit ha elaborato Food Sustainability Index (FSI).

L’indice attribusice un punteggio di qualità a 67 paesi del mondo in base a tre criteri fondamentali: spreco di cibo, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. L’analisi comprende 35 indicatori principali e 89 sotto-indicatori, che tracciano un quadro delle buone pratiche nella produzione agricola e nel consumo, che comprende anche indicatori di salute della popolazione, come apsettativa di vita e percentuale di sovrappeso e obesità.

Nell’edizione 2018 del Food Sustainability Index al primo posto troviamo la Francia, mentre l’Italia si piazza solo 28a.

Il primato della Francia in questa speciale classifica si deve all’attenzione per la sostenibilità nelle politiche agricole, ma soprattutto al particolare impegno nella lotta allo spreco di cibo. Il parlamento francese ha varato una legge che impone ai supermercati di ridistribuire agli enti di beneficenza che servono le comunità povere il cibo avanzato o prossimo alla scadenza, ma c’è il massimo impegno anche nella costruzione di infrastrutture solide in grado di minimizzare le perdite lungo la catena di distribuzione.

Anche l’Italia ha fatto progressi sul fronte della lotta allo spreco. Per esempio, la Legge Gadda del 2016  aiuta nella donazione di cibo alle associazioni del terzo settore o il piano nazionale di riduzione dello spreco (PINPAS), che analizza le diverse fasi della catena di distribuzione per capire dove avvengono i maggiori sprechi e intervenire per ridurli o ridistribuire il cibo avanzato. Nel nostro paese si registra un 2% di cibo gettato rispetto al totale che viene prodotto, che è un dato peggiore della media europea, anche se migliore della situazione planetaria,  infatti circa un terzo di tutta la produzione globale di cibo viene buttata via. Rimane, tuttavia, alto il dato italiano di circa 65 Kg/anno di cibo sprecato a persona.

Dove l’Italia perde più punti in questa speciale classifica è, sorprendentemente, nel campo della salute. È indubbio che siamo uno dei paesi con la più alta aspettativa di vita, con una media di 83 anni (come Spagna e Australia, inferiori solo al Giappone che arriva a 84). Tuttavia si registra un preoccupante abbassamento nell’aspettativa di vita sana. Questo indicatore si abbassa a 73 anni e uno dei fattori principali a influire su questo dato è la percentuale di persone sovrappeso o obese, che arriva al 59% tra gli adulti e tocca quota 37% della popolazione nella fascia 5-19 anni.

Tra le cause più spesso citate di questa alta incidenza di obesità e sovrappeso ci sono la scarsa attività fisica e l’allontanamento dalla Dieta Mediterranea. In ogni caso, un dato da non sottovalutare soprattutto in proiezione  per gli anni futuri, considerando l’importanza che riveste il controllo del peso nella prevenzione delle più diffuse malattie, come le patologie metaboliche e cardiovascolari.

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29 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Cancro del colon, i benefici in prevenzione dell’aspirina a basse dosi

La Gazzetta Ufficiale ha pubblicato una determina dell’AIFA che riconosce che i pazienti che utilizzano l’aspirina a basse dosi (cardioaspirina) per la prevenzione cardiovascolare hanno una minore incidenza di tumori del colon-retto, anche se, come la stessa AIFA ha precisato in una nota successiva, questo non significa che la cardioaspirina ha una nuova indicazione terapeutica per questo tipo di tumore.

In ogni caso, l’Italia è il primo paese al mondo a riconoscere ufficialmente un beneficio aggiuntivo in campo oncologico dell’ASA a basse dosi utilizzata per la prevenzione cardiovascolare. Un tema dibattuto da anni e al centro di numerose ricerche.

Ad esempio nelle linee guida del 2016 della United States Preventive Services Task Force (USPSTF) per la prevenzione cardiovascolare e del cancro del colon retto è previsto l’utilizzo di ASA a basse dosi. Un’indicazione motivata da dati clinici che mostrano una riduzione del 10% dell’incidenza del cancro al colon-retto in pazienti ad alto rischio cardiovascolare, di età compresa tra 50-59 anni, in terapia cronica con cardioaspirina.

Alla base della determina dell’AIFA ci sono i risultati di due meta analisi. La prima ha considerato 4 studi che hanno arruolato 14.033 pazienti trattati con acido acetilsalicilico per la prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria. Dopo circa 5 anni di utilizzo, l’acido acetilsalicilico a basse dosi (da 75 mg fino a 300 mg/die) ha ridotto di quasi il 40% l’incidenza del cancro del colon-retto. Una seconda meta-analisi ha considerato 6 studi in prevenzione primaria su 35.535 persone ad elevato rischio cardiovascolare, che hanno utilizzato acido acetilsalicilico (a basse dosi, 75-100 mg/die), ha evidenziato una riduzione dell’incidenza complessiva di cancro del 24% a partire dal quarto anno di trattamento.

Secondo Carlo Patrono, Docente di Farmacologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, l’effetto preventivo sullo sviluppo del tumore potrebbe essere causato  “dallo stesso meccanismo attraverso il quale l’acido acetilsalicilico a basse dosi esercita un effetto cardioprotettivo, cioè l’inibizione dell’attivazione piastrinica. La conseguenza di questa inibizione sarebbe rappresentata da una ridotta liberazione da parte delle piastrine di molteplici fattori che favoriscono la crescita tumorale e la diffusione metastatica delle cellule tumorali.”

Nuovi dati arrivano da uno studio appena pubblicato su The Lancet, in cui si dimostra che l’uso di aspirina in combinazione con acido eicosapentaenoico (Omega-3) è in grado di ridurre l’incidenza di tumori del colon retto in una popolazione ad alto rischio di sviluppare la malattia.

I ricercatori hanno reclutato 709 pazienti di 53 ospedali in tutta l’Inghilterra, tutti ad alto rischio di cancro al colon. Il team ha suddiviso i partecipanti in quattro gruppi di trattamento. Uno trattato solo con aspirina, un altro solo con acido eicosapentaenoico (EPA), il terzo gruppo assumeva aspirina in combinazione con EPA, e l’ultimo gruppo placebo.

Quelli del gruppo solo aspirina hanno preso una compressa di aspirina da 300 milligrammi ogni giorno per un anno. I partecipanti al gruppo EPA hanno utilizzato 2 grammi di EPA in quattro capsule per lo stesso periodo di tempo, una dose di EPA  superiore alla quantità disponibile nei normali integratori di omega-3.

I risultati mostrano che i partecipanti che hanno assunto l’aspirina per un anno avevano il 22% in meno di polipi complessivi, rispetto al gruppo placebo e coloro che hanno assunto EPA avevano un 9% in meno di polipi

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29 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Le nuove linee guida americane sull’attività fisica

L’America dichiara guerra alla sedentarietà e all’inattività fisica. E per presentare le nuove ‘Linee guida sull’attività fisica per gli Americani’ (PAG) di fronte alla grande platea (oltre 12.400 partecipanti) del congresso dell’American Heart Association, si è scomodato addirittura il numero due del dipartimento della salute stelle-e-strisce, l’Ammiraglio Brett P. Giroir (nella foto), Sottosegretario alla Salute del US Department for Health and Human Services (HHS). Le ragioni di un tale spiegamento di forze non sono tuttavia solo filantropiche. L’inattività fisica costa ogni anno agli Stati Uniti qualcosa come 117 miliardi di dollari di spese sanitarie e causa il 10% di tutte le morti premature.

Gli americani sono sempre più sedentari. Solo il 26% degli uomini, il 19% delle donne e il 20% degli adolescenti si muove in maniera adeguata, cioè seguendo quanto raccomandato dalla precedente edizione delle linee guida sull’attività fisica, risalente al 2008. E la filosofia delle nuove linee guida, annunciata dallo slogan ‘move more and sit less’, è quella di offrire ai medici uno strumento per prescrivere in maniera ancora più accurata e sempre più personalizzata l’attività fisica. Alla stessa stregua di un farmaco, perché i risultati che può produrre sono davvero importanti e rinunciarvi è un delitto. Umano, sociale ed economico. Ma perché le linee guida siano implementate serve l’aiuto di tutti: scuole, posti di lavoro, industrie, comuni e municipalità, politica, mass media, salute pubblica, mondo dello sport, trasporti.

E accanto ai key stakeholder tradizionali, è importante anche attingere al pensiero laterale e stringere alleanze con gli influencer dei social media e con i blogger. Come la blogger delle sneaker che era presente alla conferenza stampa di presentazione delle linee guida, qui a Chicago e che continuava a fotografare le calzature (solo se della categoria ‘sneaker’) dei partecipanti. L’attività fisica deve insomma diventare una moda, un must.

“Le nuove linee guida – afferma il Sottosegretario alla Salute Giroir – dimostrano che ognuno di noi può migliorare in maniera drammatica il proprio stato di salute, anche solo attraverso l’attività fisica, in qualunque momento e in qualunque contesto, in tutti i modi che possano farci stare in attività. Ecco perché la presentazione di queste linee guida è una vera call to action alla nazione. Chi fa attività fisica ha un migliore stato di salute cardiovascolare, è più forte e meno suscettibile alle malattie, si sente meglio.”

“L’American Heart Association – ha commentato Ivor Benjamin, presidente dell’American Heart Association – da molto tempo ha riconosciuto l’attività fisica come un valido mezzo per vivere più a lungo e in salute. La nostra associazione si impegna ad organizzare programmi e a fare advocacy per l’implementazione di politiche che rendano più facile per tutti svolgere attività fisica, a prescindere da dove vivono.”

La nuova edizione delle linee guida sull’attività fisica (PAG) è pubblicata su JAMA.

I benefici ‘immediati’ dell’attività fisica
Dopo un singolo episodio di attività fisica sono già riscontrabili dei benefici immediati, quali la riduzione dello stato ansioso e una riduzione dei valori di pressione arteriosa; l’attività fisica migliora inoltre la qualità del sonno e la sensibilità all’insulina.

I benefici a lungo termine dell’attività fisica
Sul lungo periodo, un’attività fisica costante migliora la salute del cervello e lo stato cognitivo, riduce il rischio di demenza (compreso l’Alzheimer) e di danni correlati alle cadute negli anziani, migliora la salute delle ossa, favorisce la perdita di peso (e protegge dal riacquistare i chili persi), ha un effetto protettivo nei confronti di ben otto tipi di cancro (vescica, mammella, colon, endometrio, esofago, rene, polmone e stomaco), riduce il rischio di ipertensione, diabete di tipo 2 (del 25-30%), dislipidemia, patologie cardiovascolari e mortalità correlata; riduce inoltre il rischio di depressione e di ansia; migliora la qualità del sonno e la qualità di vita in generale.

Nuove evidenze dimostrano inoltre che l’attività fisica può aiutare a  gestire una serie di condizioni patologiche. Ad esempio aiuta a ridurre il dolore nei soggetti con osteoartrite, riduce la progressione di malattia nel caso dell’ipertensione e del diabete di tipo 2, riduce i sintomi dell’ansia e della depressione, migliora lo stato cognitivo dei soggetti con demenza, sclerosi multipla, ADHD e morbo di Parkinson.

Nelle donne in gravidanza previene l’eccessivo aumento di peso, il diabete gravidico e la depressione post-partum.

Nei bambini e gli adolescenti migliora la salute delle ossa, il peso corporeo, la fitness cardiorespiratoria e muscolare, la salute cardio-metabolica, lo stato cognitivo (comprese le performance scolastiche), riduce il rischio di depressione.

Come prescrivere l’attività fisica

La ‘quantità’ e l’intensità di attività fisica raccomandate variano a seconda dell’età.
I bambini in età pre-scolare(3-5 anni) dovrebbero fare attività praticamente tutto il giorno (un target ragionevole è di almeno 3 ore) per favorire la crescita e lo sviluppo; gli adulti dovrebbero incoraggiarli a impegnarsi in vari tipi di attività.
I bambini in età scolare e gli adolescenti(6-17 anni) dovrebbero svolgere almeno un’ora di attività fisica di intensità moderata o vigorosa al giorno, che comprenda esercizio aerobico (attività ‘cardio’ quali corsa, bicicletta, camminata a passo veloce per la maggior parte dei 60 minuti al giorno e che comprenda esercizio di intensità ‘vigorosa’ per un minimo di 3 giorni a settimana), attività per rinforzare i muscoli (attività di resistenza quali sollevare pesi o fare push-up, 3 giorni a settimana) e attività per rafforzare le ossa (almeno tre giorni a settimana dovrebbero essere dedicati ad esempio alla corsa o al saltare la corda)

Gli adulti dovrebbero come principio generale muoversi quanto più possibile durante il giorno e stare meno seduti. Qualunque tipo di attività fisica è comunque meglio che niente, ma per vedere dei benefici sulla salute, il consiglio degli esperti è di fare 150-  minuti (2 ore e 30 minuti – 5 ore) di attività fisica ad intensità moderata a settimana oppure da 75 minuti (1 ora e 15 minuti) a 150 minuti (2 ore e 30 minuti) di attività fisica ‘vigorosa’. L’attività aerobica dovrebbe essere ben ripartita durante tutta la settimana. Importante è anche includere attività per rafforzare i muscoli di intensità da moderata in su, che coinvolgano tutti i principali gruppi muscolari, almeno due giorni a settimana.

Gli anziani, oltre  seguire le raccomandazioni di prescrizione di attività fisica degli adulti (i 150 minuti, ma solo se le loro condizioni fisiche lo consentano ovviamente), dovrebbero includere come parte del loro programma di attività fisica settimanale anche delle attività ‘multi-componente’ che comprendano quelle aerobiche, quelle per rafforzare la muscolatura e altre dedicate all’equilibrio. Possono essere considerate attività ‘multi-componente’ anche il ballo, lo yoga, il tai chi, il giardinaggio.

Gli adulti affetti da patologie croniche e con disabilità, se in grado, dovrebbero fare anche loro 150-300 minuti di attività fisica di intensità moderata a settimana oppure da 75 a 150 minuti di attività fisica ‘vigorosa’. Anche a loro viene consigliato di integrare l’attività aerobica con attività per rafforzare la muscolatura almeno due giorni a settimana. Per tutti il consiglio è di fare il possibile per evitare l’inattività.

Le donne in gravidanza e nel periodo post-partum dovrebbero fare almeno 150 minuti (2 ore e 30 minuti) di attività fisica a settimana che comprenda attività aerobica di intensità moderata

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27 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Dieta mediterranea: la migliore ma non ancora sufficientemente diffusa

E’ la più salutare, eppure fatica ad arrivare sulle tavole degli italiani, soprattutto delle grandi città. Stiamo parlando della dieta mediterranea. A lanciare il grido di allarme sulla difficoltà di recuperare ingredienti della dieta diventata Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco sono chef, operatori dell’agroalimentare e professioni della salute riuniti dagli incontri fieristici di “Roma ExpoSalus and Nutrition, alla Fiera di Roma.

Tra i primi a denunciare una logistica problematica la chef stellata Cristina Bowerman con diverse attività ristorative nella Capitale. “Il problema – afferma  – non è tanto il costo di proporre un menu con prodotti dell’autentica dieta mediterranea, quanto quello della reperibilità e della logistica. Il modello da seguire – sostiene –  deve essere quello dello chef di campagna che ha più facilità a recuperare gli ingredienti avendoli praticamente sul posto, ma allo stesso tempo  bisogna mettere  in condizione anche lo chef delle grandi città con piattaforme logistiche e magari attuando una liberalizzazione dei farmers market, pensando a possibili sgravi fiscali”.

Sotto il profilo nutrizionale Giuseppe Scapagnini, biochimico clinico Università degli studi del Molise e direttore del comitato promotore di Roma ExpoSalus, sottolinea invece che il messaggio di dieta mediterranea “e’ stato svuotato di contenuti, legando il concetto soprattutto al marketing trascurandone i valori nutrizionali e dimenticando di evidenziarli nelle etichette dei prodotti alimentari”.

Gino Sorbillo, pizzaiolo gourmet di Napoli, ricorda soprattutto l’importanza dell’utilizzo di ingredienti che abbiano un’identità territoriale, ma non registra, almeno nel suo caso, gravi difficoltà sulla reperibilità dei prodotti grazie alle nuove tecnologie. Quanto invece alla decisione di adottare la vera dieta mediterranea nella propria proposta culinaria afferma che può costare “circa un 20% in più. Ma molto dipende dalla tipologia di pizza proposta”. Per Sorbillo una buona pizza, rientrante nel regime equilibrato della dieta mediterranea, “non può essere carica di ingredienti e non deve mai superare i due, tre alimenti. “Per una buona pizza – dice – bastano ad esempio un San Marzano schiacciato, un olio cilentano e una bufala a crudo”.

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