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7 Maggio 2019 By Associazione Cuore Vivo

PROTEINE, LORO SI CHE SON BUONE

Insieme al movimento, danno forza muscolare

L’invecchiamento è accompagnato da un declino progressivo e accentuato della forza muscolare e della  massa muscolare scheletrica , che compromettono la salute e l’autonomia funzionale. Sia l’allenamento di resistenza (RT) che  la dieta  sono strategie che possono contribuire al miglioramento della salute degli anziani.

Cosa succede aumentando l’assunzione abituale di proteine nelle donne post-menopausa sedentarie? Come cambia la forza muscolare e la composizione corporea?

Risponde un gruppo di ricercatori brasiliani (che non scherzano con il consumo di carne!) che ha arruolato 70 donne anziane e le ha messe ad allenarsi in sport di resistenza.

La  composizione corporea , la forza muscolare e  l’apporto dietetico  (richiamo dietetico 24 h) sono stati indagati prima e dopo l’intervento. Per verificare i diversi effetti dell’intervento in base all’apporto proteico dei partecipanti, il campione è stato separato in terzili in base all’apporto proteico: assunzione di proteine ​​basse, moderate e alte. Il tempo di resistenza è la misura della forma fisica.

In pratica, le donne che assumevano più proteine resistevano di più, avevano più massa muscolare scheletrica, più massa magra sia all’arto inferiore che superiore e più forza totale.

I ricercatori concludono quindi che l’assunzione di> 1,0 g / kg / die di  proteine  ​​promuove guadagni nella massa muscolare scheletrica e nella forza muscolare dopo RT in donne anziane non allenate

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7 Maggio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Grassi e buoni? Parliamone… Gli omega 3 non prevengono gli eventi cardiovascolari

L’ assunzione di acidi grassi marini n-3 (detti anche omega-3) è stata associata a rischi ridotti di malattie cardiovascolari e cancro in diversi studi osservazionali. Non è chiaro se anche la supplementazione con acidi grassi n-3 abbia tali effetti nella popolazione sana.
Il VITAL Research Group ha condotto uno studio randomizzato, controllato con placebo, con un disegno fattoriale due-per-due, per valutare l’effetto della supplementazione di  vitamina D 3(alla dose di 2000 UI al giorno) e di omega-3 (alla dose di 1 g al giorno) nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari e del cancro tra gli uomini di oltre 50 anni e le donne di età> 55 anni negli Stati Uniti.
Questo articolo riporta i risultati del confronto degli acidi grassi n-3 con il placebo.
In totale, sono stati 25.871 i partecipanti sottoposti a randomizzazione. Durante un follow-up mediano di 5,3 anni, un evento cardiovascolare maggiore si è verificato in 386 partecipanti nel gruppo n-3 e in 419 nel gruppo placebo (P = 0,24, non significativo).

Il carcinoma invasivo è stato diagnosticato in 820 partecipanti nel gruppo n-3 e in 797 nel gruppo placebo (P = 0,56, non significativo).

Anche per gli eventi secondari, nessuna differenza significativa tra i gruppi.

L’integrazione con acidi grassi n-3 non ha quindi comportato una minore incidenza di eventi cardiovascolari maggiori o di cancro rispetto al placebo.

Ma, sopravvivendo agli eventi cardiovascolari e al cancro, il rischio è quello di invecchiare.

L’aumento dell’aspettativa di vita a livello mondiale ha comportato un aumento significativo delle malattie legate all’età. La demenza è una delle malattie legate all’età in più rapida crescita, con una stima di 75 milioni di adulti che si ammaleranno entro il 2030.

La malattia di Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza e rappresenta la fase più significativa del declino cognitivo. Con nessuna cura identificata fino ad oggi per l’AD, l’attenzione si concentra su  strategie preventive per rallentarne la progressione, ridurre al minimo il carico di malattie neurologiche e promuovere un invecchiamento sano.

Le prove accumulate suggeriscono che la nutrizione (ad es. frutta, verdura, pesce) è importante per ottimizzare la cognizione e ridurre il rischio di AD.

Una review esamina il ruolo della nutrizione sulla cognizione e l’AD, con particolare attenzione alla  dieta mediterranea (MeDi) e ai componenti nutrizionali chiave del MeDi, vale a dire i carotenoidi della xantofilla e gli acidi grassi omega-3. Data la loro presenza selettiva nel cervello e la loro capacità di attenuare i meccanismi proposti coinvolti nella patogenesi dell’AD (vale a dire  il danno ossidativo e l’infiammazione), questi composti nutrizionali sono potenzialmente utili per ottimizzare la cognizione e ridurre il rischio di AD

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7 Maggio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Ad ogni età il suo sport

Sport di squadra come basket, calcio e pallavolo, ma anche corsa, nuoto e ginnastica per i più piccoli. Corsa, tennis, bicicletta per gli adulti e ginnastica a corpo libero,  camminate, Tai Chi e Pilates, per gli anziani. Ogni età ha bisogno del proprio sport a seconda delle esigenze che il fisico ha. A suggerirlo sono gli ortopedici della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT), in occasione della giornata mondiale dello sport, il 6 aprile,

In ogni fase della vita si possono trarre benefici dall’attività sportiva. “Noi ortopedici – evidenzia Francesco Falez, presidente SIOT – dobbiamo indirizzare chi è in accrescimento anche verso uno sviluppo armonico. Man mano che la persona cresce, i benefici dello sport non sono solo osseo-articolari, ma anche sistemici: aumenta le endorfine, accresce lo stato di benessere e migliora tutti gli altri apparati. Nella tarda età diventa fondamentale perché lo scheletro, e ovviamente l’osteoporosi, sono direttamente correlate ad un’attività più o meno intensa”.

“In un adulto – aggiunge Falez – basta praticare attività fisica due volte a settimana; tre volte a settimana vanno bene per un adolescente, mentre per una persona anziana è sufficiente una volta”. Nel bambino lo sport aiuta a sviluppare il coordinamento motorio. Se il piccolo ha problemi di scoliosi, è preferibile indirizzarsi verso sport simmetrici piuttosto che unilaterali: basket e volley sono, ad esempio, da preferire al tennis. Nell’adulto è importante la preparazione, per non incorrere in tendinopatie o sovraccarichi funzionali. Nell’anziano è indicato invece ciò che mantiene il coordinamento e il movimento armonico che sollecita lo scheletro e la muscolatura. La SIOT si sofferma infine sul trauma sportivo, consigliando di agire con cure appropriate anche alla ripresa rapida dell’attività, possibile grazie all’evoluzione delle tecniche chirurgiche, oltre che degli aspetti riabilitativi.

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7 Maggio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Pochi carboidrati, più rischi per il cuore

Negli ultimi anni le diete low carb, ossia con una drastica riduzione dei carboidrati, sono diventate un sistema molto seguito per perdere peso rapidamente. Si tratta di una strategia alimentare che aumenta le proteine e diminuisce zuccheri, grano e derivati, frutta e verdure amidacee.

Secondo una nuova ricerca presentata al meeting annuale dell’American College of Cardiology un regime dietetico con un basso introito di carboidrati può avere effetti negativi sulla salute del cuore, in particolare aumenta il rischio di sviluppare una fibrillazione atriale.

I ricercatori della Sun Yat-Sen University di Guangzhou (Cina) hanno utilizzato di dati dello studio ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities) supervisionato dal National Institutes of Health americano, che ha seguito 14mila pazienti per ben 22 anni (1985-2016).

I ricercatori cinesi hanno individuato 1.900 soggetti che hanno sviluppato fibrillazione atriale (FA) nel corso dello studio e gli hanno chiesto di indicare l’assunzione giornaliera di 66 diversi prodotti alimentari, per stimare l’apporto quotidiano di carboidrati di ogni partecipante e la percentuale di calorie giornaliere derivante dai carboidrati. In media, i carboidrati rappresentavano circa la metà delle calorie consumate.

I ricercatori hanno poi diviso i partecipanti in tre gruppi, con basso, moderato e alto apporto di carboidrati. Nella dieta del primo gruppo dai carboidrati derivavano meno del 44,8% delle calorie giornaliere, nel secondo tra 44,8 e 52,4% delle calorie e più del 52,4% nel terzo.

Chi seguiva una dieta con un basso apporto di carboidrati aveva il 18% in più di probabilità di sviluppare FA rispetto a quelli con un consumo moderato di carboidrati e il 16% in più di probabilità di sviluppare AF rispetto a quelli con un’assunzione elevata di carboidrati.

“Le diete con basso introito di carboidrati – ha detto Xiaodong Zhuang, cardiologo, presentando lo studio – sono associate con un incremento del rischio di fibrillazione atriale, indipendentemente dal tipo di proteine o grassi utilizzati per rimpiazzare i carboidrati”.

Secondo gli autori diversi meccanismi possono spiegare perché la limitazione dei carboidrati può portare a FA. Innanzitutto  le persone che seguono una dieta a basso contenuto di carboidrati tendono a mangiare meno verdura, frutta e cereali, cibi che sono noti per ridurre l’infiammazione. Un’altra possibile spiegazione è che mangiare più proteine ​​e grassi al posto dei cibi ricchi di carboidrati può portare a stress ossidativo.

Infiammazione e stress ossidativo sono entrambi fattori che aumentano il rischio di fibrillazione atriale e di altre patologie cardiache.

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7 Maggio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Buone notizie per gli amanti della pasta: pochi carboidrati, più rischi per il cuore!

Negli ultimi anni le diete low carb, ossia con una drastica riduzione dei carboidrati, sono diventate un sistema molto seguito per perdere peso rapidamente. Si tratta di una strategia alimentare che aumenta le proteine e diminuisce zuccheri, grano e derivati, frutta e verdure amidacee.

Secondo una nuova ricerca presentata al meeting annuale dell’American College of Cardiology un regime dietetico con un basso introito di carboidrati può avere effetti negativi sulla salute del cuore, in particolare aumenta il rischio di sviluppare una fibrillazione atriale.

I ricercatori della Sun Yat-Sen University di Guangzhou (Cina) hanno utilizzato di dati dello studio ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities) supervisionato dal National Institutes of Health americano, che ha seguito 14mila pazienti per ben 22 anni (1985-2016).

I ricercatori cinesi hanno individuato 1.900 soggetti che hanno sviluppato fibrillazione atriale (FA) nel corso dello studio e gli hanno chiesto di indicare l’assunzione giornaliera di 66 diversi prodotti alimentari, per stimare l’apporto quotidiano di carboidrati di ogni partecipante e la percentuale di calorie giornaliere derivante dai carboidrati. In media, i carboidrati rappresentavano circa la metà delle calorie consumate.

I ricercatori hanno poi diviso i partecipanti in tre gruppi, con basso, moderato e alto apporto di carboidrati. Nella dieta del primo gruppo dai carboidrati derivavano meno del 44,8% delle calorie giornaliere, nel secondo tra 44,8 e 52,4% delle calorie e più del 52,4% nel terzo.

Chi seguiva una dieta con un basso apporto di carboidrati aveva il 18% in più di probabilità di sviluppare FA rispetto a quelli con un consumo moderato di carboidrati e il 16% in più di probabilità di sviluppare AF rispetto a quelli con un’assunzione elevata di carboidrati.

“Le diete con basso introito di carboidrati – ha detto Xiaodong Zhuang, cardiologo, presentando lo studio – sono associate con un incremento del rischio di fibrillazione atriale, indipendentemente dal tipo di proteine o grassi utilizzati per rimpiazzare i carboidrati”.

Secondo gli autori diversi meccanismi possono spiegare perché la limitazione dei carboidrati può portare a FA. Innanzitutto  le persone che seguono una dieta a basso contenuto di carboidrati tendono a mangiare meno verdura, frutta e cereali, cibi che sono noti per ridurre l’infiammazione. Un’altra possibile spiegazione è che mangiare più proteine ​​e grassi al posto dei cibi ricchi di carboidrati può portare a stress ossidativo.

Infiammazione e stress ossidativo sono entrambi fattori che aumentano il rischio di fibrillazione atriale e di altre patologie cardiache.

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