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27 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Dieta mediterranea: la migliore ma non ancora sufficientemente diffusa

E’ la più salutare, eppure fatica ad arrivare sulle tavole degli italiani, soprattutto delle grandi città. Stiamo parlando della dieta mediterranea. A lanciare il grido di allarme sulla difficoltà di recuperare ingredienti della dieta diventata Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco sono chef, operatori dell’agroalimentare e professioni della salute riuniti dagli incontri fieristici di “Roma ExpoSalus and Nutrition, alla Fiera di Roma.

Tra i primi a denunciare una logistica problematica la chef stellata Cristina Bowerman con diverse attività ristorative nella Capitale. “Il problema – afferma  – non è tanto il costo di proporre un menu con prodotti dell’autentica dieta mediterranea, quanto quello della reperibilità e della logistica. Il modello da seguire – sostiene –  deve essere quello dello chef di campagna che ha più facilità a recuperare gli ingredienti avendoli praticamente sul posto, ma allo stesso tempo  bisogna mettere  in condizione anche lo chef delle grandi città con piattaforme logistiche e magari attuando una liberalizzazione dei farmers market, pensando a possibili sgravi fiscali”.

Sotto il profilo nutrizionale Giuseppe Scapagnini, biochimico clinico Università degli studi del Molise e direttore del comitato promotore di Roma ExpoSalus, sottolinea invece che il messaggio di dieta mediterranea “e’ stato svuotato di contenuti, legando il concetto soprattutto al marketing trascurandone i valori nutrizionali e dimenticando di evidenziarli nelle etichette dei prodotti alimentari”.

Gino Sorbillo, pizzaiolo gourmet di Napoli, ricorda soprattutto l’importanza dell’utilizzo di ingredienti che abbiano un’identità territoriale, ma non registra, almeno nel suo caso, gravi difficoltà sulla reperibilità dei prodotti grazie alle nuove tecnologie. Quanto invece alla decisione di adottare la vera dieta mediterranea nella propria proposta culinaria afferma che può costare “circa un 20% in più. Ma molto dipende dalla tipologia di pizza proposta”. Per Sorbillo una buona pizza, rientrante nel regime equilibrato della dieta mediterranea, “non può essere carica di ingredienti e non deve mai superare i due, tre alimenti. “Per una buona pizza – dice – bastano ad esempio un San Marzano schiacciato, un olio cilentano e una bufala a crudo”.

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27 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Cuore: non sempre i pazienti comprendono i rischi

Non sempre il paziente cardiopatico comprende i rischi legati alla sua patologia, perché il cardiologo non è riuscito a illustrarli chiaramente, utilizzando parole o immagini poco efficaci.

Uno studio appena pubblicato da Jama Cardiology mette in luce proprio questo aspetto: i pazienti sono più attenti e più propensi ad accettare una terapia farmacologica preventiva quando ricevono informazioni chiare sulle possibilità di avere infarti o ictus nel lungo termine. Questo genere di rischio, nella percezione del paziente, appare più alto rispetto a quello a breve termine.

“È importante il modo con cui si mostra alle persone quale sia il loro rischio – sottolinea l’autrice principale del lavoro Anne Marie Navar, della Duke University Medical Center di Durham,Carolina del Nord – Anche lo strumento grafico che il cardiologo usa può influire sulla percezione del rischio. Per esempio, se si usa un diagramma in cui un rischio del 15% è mostrato come 85 facce felici e 15 volti corrucciati, i pazienti potrebbero intenderlo come un rischio inferiore”.

Lo studio
Per osservare come il metodo utilizzato dai medici per comunicare il rischio interferisca con la comprensione, la Navar ed i suoi colleghi hanno reclutato 2.708 pazienti di un registro che raccoglieva i dati di 140 ambulatori di cardiologia, endocrinologia e cure primarie.
Per prima cosa ai pazienti è stato detto di immaginare che il loro medico avesse detto loro di correre un rischio del 15% di avere un infarto o un ictus nei successivi 10 anni. È stato quindi chiesto ai pazienti di valutare la gravità del rischio utilizzando una scala crescente (molto bassa, bassa, media, alta, molto alta) e di indicare la disponibilità a prendere un farmaco, come una statina o un medicinale per la pressione del sangue, per ridurre il rischio di circa un terzo (molto riluttanti, leggermente riluttanti, possibilmente, in qualche modo volenterosi o molto disponibili).
La stessa procedura è stata seguita con i pazienti che immaginavano di avere un 4% di rischio di morte nei 10 anni successivi, e quindi di avere un rischio del 50% nel corso della vita di avere un ictus o un infarto.
Senza che i volontari dello studio lo sapessero, queste stime hanno descritto tutte lo stesso paziente ipotetico: una persona con un rischio del 4% di morte per malattia cardiaca in 10 anni, un rischio del 15% di avere un infarto o ictus in 10 anni e un rischio del 50% di avere un ictus o infarto nel corso della vita.

I risultati
Sebbene i numeri si riferissero tutti allo stesso rischio complessivo di malattia cardiaca, i pazienti dello studio hanno avuto percezioni diverse: il 70,1% ha ritenuto che un rischio del 50% fosse “da alto a molto alto”, rispetto al 31,4% di coloro ai quali è stato chiesto di valutare una probabilità del 15% di avere un infarto o ictus in 10 anni e rispetto al il 25,7% di coloro che si sono espressi per il 4% di rischio di morte per malattia cardiaca in 10 anni.
In tutti gli scenari, i pazienti che hanno dichiarato di aver percepito un rischio elevato o molto elevato erano anche due o tre volte più propensi a prendere farmaci per ridurre tale rischio.

I commenti
“Poiché sempre più pazienti vogliono essere parte del processo decisionale sulla propria salute, i medici devono prestare più attenzione a come spiegano i rischi – ha detto Jared Magnani del University of Pittsburgh Medical Center in Pennsylvania – Questo è uno studio molto importante: quando parli di prevenzione delle malattie cardiovascolari, è molto importante che i pazienti capiscano le ragioni di ogni tipo di intervento farmacologico”.
Lo studio “ha scoperto che le persone avevano una comprensione piuttosto limitata del rischio – ha continuato Magnani, che non è stato coinvolto nella ricerca – Quindi, tendevano a concentrarsi sul numero più alto in termini percentuali, percependo come più alto il livello di rischio indipendentemente dall’ambito temporale. Tutto questo suggerisce che abbiamo bisogno di un nuovo codice linguistico per comunicare con i pazienti”.

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27 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Ecco perché le verdure a foglia verde proteggono il cuore

I benefici dell’assunzione nella dieta di verdure a foglia verde, soprattutto dopo la mezza età, sono stati dimostrati in diversi studi, di recente pubblicazione, che hanno evidenziato un rallentamento dei sintomi del declino cognitivo negli anziani consumatori di questi alimenti. Ora una nuova ricerca ha individuato un meccanismo specifico che spiegherebbe perché le verdure a foglia verde svolgano una funzione protettiva del sistema cardiovascolare.

Il dato emerge da uno studio australiano appena pubblicato sulla rivista European Journal of Nutrition. L’assunzione di nitrati di origine vegetale, contenuti soprattutto nelle verdure a foglia verde, ha un effetto protettivo sul cuore, con riduzione della mortalità cardiovascolare negli anziani.

I ricercatori hanno isolato un sottogruppo di partecipanti senza diabete dallo studio Blue Mountains Eye Study, un ampio studio di popolazione per la valutazione del rischio di degenerazione maculare che, comprende uomini e donne di età ≥ 49 anni. L’obiettivo della ricerca era studiare l’associazione dell’assunzione di nitrati dalle verdure con la mortalità per cause cardiovascolari in un campione di anziani.

La dieta dei partecipanti è stata valutata con un questionario al basale, dopo 5 e 10 anni.

L’assunzione di nitrati vegetali è stata stimata utilizzando una banca dati completa sui nitrati vegetali. Durante 14 anni di follow-up, 188 partecipanti su 2.229 (8,4%)  sono morti per cause cardiovascolari. Nell’analisi statistica aggiustata per diverse variabili è risultato che chi consumava una quantità di verdure superiore a 70 gr al giorno aveva un rischio cardiovascolare inferiore.

Le conclusioni degli autori sono che: “In un gruppo di uomini e donne anziani l’assunzione di nitrati vegetali è risultato inversamente associato alla mortalità per cause cardiovascolari, indipendentemente dallo stile di vita e dai fattori di rischio cardiovascolare.”

I ricercatori attribuiscono l’effetto protettivo all’ossido nitrico, che viene prodotto dalla conversione dei nitrati in nitriti. L’ossido nitrito contribuisce al mantenimento dell’elasticità delle pareti arteriose, con effetto antipertensivo. Inoltre gli effetti sui mitocondri cellulari sono associabili a un mantenimento del flusso sanguigno cerebrale, con effetti positivi sulle funzioni cognitive. Va citato, infine l’effetto antinfiammatorio e di potenziamento del sistema immunitario.

Per quanto riguarda il potenziale pericolo rappresentato dalla formazione di derivati dannosi dei nitrati, come le nitrosamine, potenzialemente cancerogene, questo rischio, secondo gli autori dello studio, è allontanato dalla presenza di vitamine e antiossidanti presenti nelle verdure.

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6 Novembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Invecchiamento: contrastarlo con frutta e verdura

Combattere l’invecchiamento a tavola si può. A nascondere i segreti della longevità sono frutta e verdura. I senolitici molecole presenti appunto frutta e ortaggi, ma anche nei cereali, sarebbero infatti in grado, in alte concentrazioni, di rallentare malattie come osteoporosi e demenza. Cercare di isolare quelli più efficaci e sicuri da testare sull’uomo è lo proprio lo scopo di un progetto di ricerca condotto dal team di Marco Malavolta e Mauro Provinciali dell’Istituto Nazionale Ricovero e Cura Anziani di Ancona, giunto ormai ai 50 anni di attività.

“Abbiamo per il momento programmato uno studio della durata di 3 anni (2018-20) – afferma Provinciali. L’obiettivo è intraprendere una sperimentazione clinica con uno o più di questi senolitici su anziani con malattie croniche a partire dal 2020”.

I senolitici, molecole presenti principalmente in fragole, mele, agrumi, uva rossa, mirtilli, cachi; verdura, come pomodori, asparagi, cipolle e cetrioli; olii vegetali e cereali, sono risultati capaci di eliminare le cosiddette ‘cellule senescenti’, che si accumulano nell’organismo con l’età e che recenti studi hanno dimostrato giocare un ruolo di primo piano in molte malattie dell’invecchiamento, ad esempio l’Alzheimer.

L’idea, dimostrata con successo per ora in studi su animali, è che, eliminando le cellule senescenti somministrando senolitici, le malattie cronico-degenerative degli anziani possano essere tenute a bada quando non addirittura guarite.

“Lo studio INRCA prevede in questa fase di selezionare nuovi senolitici, concentrando la nostra attenzione su composti precedentemente studiati come anti-tumorali e in grado di riattivare alcuni meccanismi di morte cellulare “spenti” nelle cellule senescenti”, spiega Malavolta. “Il nostro sogno – conclude – è scoprire i senolitici migliori, efficaci ad ampio spettro e contemporaneamente su più malattie della terza età, e sicuri per il paziente”.

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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Il peso risulta influenzato dal salto della colazione e sconvolge i “geni dell’orologio circadiano” che lo regolano

Il peso e il suo mantenimento e/o recupero è fortemente influenzato da abitudini alimentari irregolari; saltare la colazione, per esempio, è spesso associato all’obesità, al diabete di tipo 2, all’ipertensione e alle malattie cardiovascolari, ma l’impatto preciso dei tempi dell’orologio interno del corpo sui pasti, è meno chiaro.

Un nuovo studio, recentemente pubblicato su  Diabetes Care, e condotto dall’Università di Tel Aviv ha identificato l’effetto della colazione sull’espressione dei “geni dell’orologio” che regolano le risposte di glucosio e  insulina post-pasto sia degli individui sani che dei diabetici. Dimostra, più nello specifico, che il  consumo della colazione innesca la corretta espressione del gene dell’orologio ciclico che porta a un miglioramento del controllo glicemico. Il gene dell’orologio circadiano regola non solo i cambiamenti circadiani del metabolismo del glucosio, ma anche il  peso corporeo, la pressione sanguigna, la funzione endoteliale e l’aterosclerosi.

Consumare la colazione prima delle 9:30 AM, rispettando quindi il giusto orario di assunzione del pasto, potrebbe portare a un miglioramento dell’intero metabolismo del corpo, facilitare la  perdita di peso e ritardare le complicazioni associate al diabete di tipo 2 e ad altri disturbi legati all’età.

Per lo studio, 18 volontari sani e 18 volontari obesi con diabete hanno preso parte a una giornata di test con colazione e pranzo e a una giornata di test con solo pranzo. In entrambi i giorni, i ricercatori hanno condotto analisi del sangue sui partecipanti per misurare l’espressione genica del loro orologio postprandiale, glucosio plasmatico, insulina e peptide-1 intatto come glucagone-1 (iGLP-1) e dipeptidil peptidasi IV (DPP-IV). Sia negli individui sani che nei diabetici, il consumo della colazione ha acutamente migliorato l’espressione di specifici geni dell’orologio legati a una perdita di peso più efficiente ed è stato associato a un miglioramento dei livelli di glucosio e di insulina dopo pranzo.

Al contrario, nei giorni di prova che prevedevano solo il pranzo (quando i partecipanti saltavano la colazione), i geni dell’orologio correlati alla perdita di peso erano scarsamente regolati, portando a picchi di zucchero nel sangue e a scarse risposte all’insulina per il resto della giornata, suggerendo anche che saltare la colazione porta ad un guadagno di peso anche senza l’incidenza di consumo eccessivo di cibo durante resto della giornata

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