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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Una dieta ricca di fibre può ritardare l’invecchiamento cerebrale

Mangiare in quantità sufficiente cibi ricchi di fibre – come per esempio broccoli, noci, avena, fagioli e pane integrale – potrebbe ritardare l’invecchiamento cerebrale, contrastando i processi infiammatori che possono compromettere il funzionamento del cervello.

L’infiammazione cronica delle cellule della microglia, la principale difesa immunitaria del sistema nervoso centrale, è considerata, infatti, una delle condizioni che favoriscono il declino della memoria e delle facoltà cognitive negli anziani.

L’infiammazione cronica può instaurarsi con il fisiologico processo di invecchiamento e può essere accelerata da una dieta ricca di grassi. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata su alcuni prodotti della digestione delle fibre alimentari solubili, che sono in grado di contrastare i processi infiammatori.

In particolare l’acido butirrico, acido grasso a catena corta (SCFA), è da tempo studiato proprio per l’azione antinfiammatoria. Un’importante ricerca pubblicata nel 2013 sulla rivistaNature ha dimostrato il ruolo di questa sostanza attraverso la quale i batteri intestinali sono in grado di attivare il sistema immunitario.

Per il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Immunology , i ricercatori dell’Università dell’Illinois hanno somministrato a topi adulti e di età avanzata una dieta a base di cellulosa all’1% (a basso contenuto di fibre) o inulina al 5% (ad alto contenuto di fibra) per 4 settimane. In seguito hanno misurato i livelli presenti nel sangue di burritato e di sostanze pro-infiammatorie.

I topi, sia giovani che anziani, a cui è stata somministrata una dieta ad alto contenuto di fibre hanno mostrato un elevato contenuto di butirrato e altri acidi grassi a catena corta nel sangue, ma solo gli anziani avevano segni di infiammazione intestinale, con la dieta a basso contenuto di fibre, mostrando con chiarezza la maggiore vulnerabilità dell’intestino dell’organismo anziano.

Per questo motivo, secondo gli autori dello studio un’integrazione di fibre nell’anziano può essere considerata una strategia non invasiva per aumentare i livelli di butirrato e contrastare la disbiosi del microbiota legata all’età, con benefici anche neurologici.

“Sappiamo che gli anziani – ha affermato Rodney Jo del Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università dell’illinois – consumano il 40% in meno di fibra alimentare rispetto a quanto raccomandato, non assumere abbastanza fibre potrebbe avere conseguenze negative anche per aspetti  a cui generalmente non si pensa, come la salute del cervello e l’infiammazione in generale”.

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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

I cereali integrali abbassano il rischio di diabete di tipo 2

Un ampio studio di popolazione in Danimarca ha confermato con nuovi dati la correlazione tra consumo di alimenti integrali e minor rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Aumentare la quota di alimenti prodotti con farine integrali (pane integrale, pane di segale, farina d’avena, muesli) potrebbe essere una strategia vincente per prevenire il diabete di tipo 2.

La ricerca, pubblicata sul numero di settembre del Journal of Nutrition, ha utilizzato una sottopopolazione del Danish Diet, Cancer, and Health Cohort. Si tratta di 26.251 uomini e 29.214 donne delle città di Copenaghen e Aarhus, arruolati nel periodo 1993-1997. I partecipanti hanno compilato un questionario sullo stile di vita, che includeva domande sul fumo e sull’esercizio fisico e un questionario sulla frequenza di consumo di 192 alimenti.

Il consumo medio di alimenti integrali è risultato di 42 g/die per gli uomini e 34 g/die per le donne. I partecipanti sono stati poi suddivisi secondo la quantità di cereali integrali consumati, dal quartile a più basso consumo (27 g/die per gli uomini e 24 g/die per le donne) a quello con il maggior intake di alimenti integrali (60 g/die per gli uomini e 50.8 g/die per le donne).

Durante un follow-up medio di 15 anni il diabete di tipo 2 è stato diagnosticato al 15,7% degli uomini e all’11,3% delle donne (7.417 partecipanti).

Gli uomini nel quartile con il più alto consumo di cereali integrali avevano un rischio inferiore del 34% di diagnosi di diabete di tipo 2 rispetto agli uomini nel quartile più basso. Analogamente, le donne nel più alto quartile di assunzione di cereali integrali hanno avuto un rischio inferiore del 22% rispetto alle donne nel quartile più basso.

In entrambi i sessi il rischio è stato valutato dopo aggiustamento per età, istruzione, attività fisica, fumo, consumo di alcool, assunzione di carne rossa e lavorata, indice di massa corporea e nelle donne, menopausa e terapia ormonale sostitutiva.

Secondo Cecilie Kyrø, del Centro di ricerca Cancer Society di Copenaghen: “Questi risultati sono in linea con altri studi che ci dicono che i cereali integrali possono essere uno dei gruppi di alimenti più importanti per la prevenzione del diabete di tipo 2”.

Gi alimenti integrali (che conservano il germe e la crusca del chicco di grano) migliorano la sensibilità all’insulina, abbassando la produzione postprandiale del glucosio e probabilmente riducendo anche l’infiammazione.

I cerali integrali sono presenti in misura maggiore nell’alimentazione tipica della Danimarca, soprattutto grazie al consumo abituale di pane di segale.

Secondo Rikard Landberg, dell’University of Technology, di Göteborg (Svezia) “gli adulti negli Stati Uniti mangiano in meno di 16 g/die di cereali integrali, e quelli nel Regno Unito consumano 27 g/die mentre in Danimarca, gli adulti mangiano in media 33 g/die (nel 2000-2004) e fino a 58 g/die (nel 2011-2013) di cereali integrali.”

“Questi dati sostengono le raccomandazioni dietetiche che consigliano di sostituire gli alimenti con farina bianca con integrali – conclude Landberg, – considerando che il grano integrale ha anche altri effetti positivi oltre la protezione contro il diabete di tipo 2″.

Esperti di altri paesi, come Sacha Uelmen, direttore della nutrizione per l’American Diabetes Association, fanno notare che questi dati sono solo osservazionali e non stabiliscono un rapporto di causa effetto tra il maggior consumo di cibi integrali e la minore incidenza di diabete di tipo 2.

“Tuttavia – aggiunge Uelmen – questi dati rafforzano ciò che si sa sull’importanza dei cibi integrali nella dieta”.

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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Dieta antinfiammatoria elisir di lunga vita

Frutta, verdura, tè, caffè, pane integrale, cereali per la colazione, formaggio magro, olio d’oliva e olio di colza, noci, cioccolato e quantità moderate di vino rosso e birra. E’ la lista della spesa per seguire la dieta-infiammatoria, elisir di lunga vita. A rivelarlo è uno studio  realizzato dall’Università di scienze della vita di Varsavia, dal Karolinska Institutet, dal Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e dall’Università di Uppsala e pubblicato sul Journal of Internal Medicine.

Addio, però, ad alimenti che alimentano infiammazioni come carne rossa non lavorata e trasformata, patatine e bevande analcoliche. Nello studio, che ha coinvolto 68.273 uomini e donne svedesi tra 45 e 83 anni, chi ha seguito questa dieta ha avuto un rischio inferiore del 18% di mortalità per tutte le cause, un rischio inferiore del 20% di mortalità per malattie cardiovascolari e un rischio ridotto del 13% di mortalità per cancro. Buone notizie per i fumatori: quelli che hanno seguito la dieta hanno avuto benefici ancora maggiori rispetto ai fumatori che non la seguivano.

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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Dieta: mai escludere del tutto i carboidrati

Le persone che riducono fortemente i carboidrati nella dieta rischiano di vedere aumentare il loro rischio di morte prematura se riempiono i loro piatti di carne e formaggio invece che di verdute e noci. E, in ogni caso, un introito di carboidrati pari al 50-55 delle calorie non abbassa l’aspettativa di vita. È quanto emerge da uno studio americano pubblicato da The Lancet Public Health.

Una ricerca precedente a questo studio aveva associato una dieta povera di carboidrati a un maggior successo nella perdita di peso a breve termine e a miglioramenti nei fattori di rischio (come per esempio il diabete) di morte prematura. Si sa ancora poco, invece, sui risultati a lungo periodo dell’esclusione dei carboidrati dalla dieta,
Per il lavoro pubblicato da Lancet i ricercatori hanno seguito oltre 15.000 adulti tra i 45 e i 65 anni d’età per circa 25 anni. In questo periodo, 6.283 partecipanti sono morti.Chi ha assunto tra il 50 e il 55% delle calorie dai carboidrati ha avuto rischio di morte più bass per tutte le cause durante il periodo dello studio, rispetto alle persone che avevano una dieta molto più povera o molto più ricca di carboidrati.
Le persone che hanno assunto meno carboidrati hanno mangiato, per compensare, cibi molto diversi da cui sono emersi risultati differenti. “Chi ha sostituito i carboidrati con proteine o grassi animali ha fatto registrare un maggior rischio di mortalità, mentre questa associazione è risultata opposta in chi ha compensato i carboidrati con proteine o grassi vegetali”, sottolinea Sara Seidelmann del Brigham and Women’s Hospital and Harvard Medical School di Boston, autrice dello studio. “Il messaggio chiave di questo studio è che non è sufficiente concentrarsi solo sul taglio dei carboidrati, quanto piuttosto è utile focalizzarsi sui cibi che li sostituiscono”, ha continuato l’esperta.

I ricercatori hanno calcolato che, a partire dai 50 anni, l’aspettativa di vita media era di 33 in chi aveva avuto una dieta con una moderata quantità di carboidrati (che rappresentavano cioè il 50 e il 55% delle calorie complessive assunte). Un’assunzione elevata di carboidrati (oltre il 70% delle calorie) è stata invece associata a un’aspettativa di vita di circa 32 anni. Una dieta povera di carboidrati (meno del 40% dell’apporto calorico complessivo) ha restituito un’aspettativa di vita di 29 anni.

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25 Ottobre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Olio d’oliva e sonno ristoratore: il mix perfetto salva-cuore

Un buon sonno ristoratore e assumere olio di oliva con regolarità sono queste le armi per preservare la salute del cuore. A porre l’attenzione sull’efficacia di queste due buone pratiche è uno studio pubblicato su Nature Communications e realizzato dal Saint Michael Hospital.

Tutto ruota attorno al ruolo dei grassi insaturi: dopo la digestione di prodotti che ne sono ricchi, infatti, aumentano i livelli nell’organismo di una proteina, l’apo-lipoproteina A-IV, che è associata a un livello più basso di patologie che riguardano l’apparato cardiocircolatorio.

Secondo lo studio, infatti, riesce a interrompere l’aggregazione piastrinica che causa le occlusioni dei vasi che bloccano il flusso di sangue e che può portare a trombosi, infarto, ictus o morte. “Questo è il primo studio che collega questa apo-lipoproteina con piastrine e trombosi – ha detto Heyu Ni, uno dei ricercatori che ha condotto lo studio – Con questo lavoro abbiamo anche spiegato perché suoi livelli più alti possono rallentare l’accumulo di placca nei vasi sanguigni, noto come aterosclerosi, perché questo processo è anche correlato alla funzione piastrinica”.

I ricercatori hanno anche esaminato l’interazione dell’apolipoproteina A-IV con il cibo. Dopo ogni pasto, le piastrine vengono stimolate, il che rende più facile per loro legarsi insieme o ai globuli bianchi. L’apolipoproteina aumenta quasi subito nel sangue circolante dopo i pasti contenenti grassi insaturi e diminuisce l’iperattività e il legame alle piastrine, riducendo così l’infiammazione dopo i pasti e il rischio di infarto e ictus. Lo studio ha anche scoperto che questa proteina ha il suo ritmo circadiano: è più attiva durante la notte e meno al mattino.

La conclusione è: associamo il nostro buon olio d’oliva Italiano (meglio se marchigiano), rigorosamente extravergine, ad un buon sonno ristoratore.

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