Cuore Vivo ONLUS

  • CHI SIAMO
  • DOCUMENTI
  • ISCRIZIONI
  • DONAZIONI
  • PERIODICO
  • NEWS
  • CONTATTI

24 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Diabete, le nuove linee guida per la prevenzione cardiovascolare

Una nuova classificazione del rischio e nuove raccomandazioni sull’uso dei farmaci. Sono le importanti novità contenute nell’ultima edizione delle linee guida su diabete e rischio cardiovascolare, a cura della Società Europea di Cardiologia (ESC) e dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD)

Per aggiornare le linee guida gli esperti hanno utilizzato i risultati di importanti studi clinici, che hanno testato gli effetti sul rischio cardiovascolare di tutti i principali farmaci per il diabete di tipo 1 e di tipo 2.

La nuova classificazione del rischio CV

Nelle precedenti linee guida i pazienti diabetici, per quanto riguarda il rischio CV, venivano suddivisi in due gruppi, quelli destinati alla prevenzione primaria e quelli della prevenzione secondaria.

Le nuove linee guida invece classificano i pazienti in base alle co-morbità e alla durata della malattia, suddividendoli in tre gruppi:

  • Rischio CV moderato: pazienti giovani (<35 anni per il diabete di tipo 1 o <50 anni per il tipo 2), che hanno il diabete da meno di 10 anni, senza altri fattori di rischio.
  • Rischio CV elevato: diabetici da 10 o più anni, con almeno un altro fattore di rischio, ma nessun danno agli organi bersaglio.
  • Rischio CV molto elevato:

o    pazienti con diabete stabilizzato e malattie CV

o    oppure con danni agli organi bersaglio

o    oppure con tre o più fattori di rischio maggiori

o    oppure se hanno il diabete di tipo 1 da più di 20 anni.

Gestire bene il diabete ed i fattori di rischio CV

Una buona gestione del diabete di tipo 2, soprattutto per chi è in una condizione di pre-diabete, è fondamentale per tenere sotto controllo la malattia e il rischio di complicanze cardiovascolari.

Le nuove linee guida enfatizzano il ruolo positivo dell’attività fisica e consigliano l’autocontrollo di pressione e glicemia, che oggi possono essere fatte con supporti digitali semplici da utilizzare.

Tra le raccomandazioni c’è anche quella di evitare il consumo di alcool. “È ancora diffusa la convinzione che l’assunzione moderata di alcool abbia effetti benefici sulla prevalenza delle malattie cardiovascolari – ha affermato Grant. “Tuttavia, due metanalisi di alto profilo hanno mostrato che non è così. Sulla base di questi nuovi risultati, abbiamo modificato le nostre raccomandazioni. ”

Messaggi chiave sullo stile di vita per i pazienti con diabete e pre-diabete

  • Cambiare stile di vita è fondamentale per evitare diabete e complicanze CV.
  • Ridurre l’introito di calore è raccomandato per i pazienti diabetici in sovrappeso
  • Una dieta mediterranea arricchita con olio di oliva e/o frutta a guscio riduce l’incidenza di ictus e infarto.
  • L’attività fisica da moderata a intensa per almeno 150 minuti a settimana è raccomandata per la prevenzione e il controllo del diabete.

Controllo della glicemia.

Un buon controllo della glicemia rimane un obiettivo fondamentale. Tra i concetti chiave espressi dalle nuove linee guida c’è che un livello di emoglobina glicata (HbA1c) quasi normale (<7,0% o <53 mmol/mol) ridurrà le complicanze micro-vascolari nei pazienti con DM.

“Il controllo glicemico non dovrebbe essere dimenticato», ha sottolineato Grant, «perché aiuta a prevenire le complicanze micro-vascolari del diabete a occhi, nervi e reni».

Inoltre, un controllo più stretto del glucosio iniziato nelle prime fasi del diabete nei soggetti più giovani porta a una riduzione del rischio CV in un arco temporale di 20 anni. Obiettivi di controllo della glicemia meno rigorosi devono essere considerati nei pazienti anziani e in quelli con comorbilità gravi o malattia cardiaca avanzata.

Un nuovo approccio farmacologico

Un’importante novità riguarda anche i farmaci da utilizzare per il controllo glicemico del diabete di tipo 2. Sulla base di questa nuova classificazione gli esperti suggeriscono per i pazienti con diabete di tipo 2 a rischio CV elevato o molto elevato un trattamento di prima linea con SGLT-2 inibitori e GLP-1 agonisti, i farmaci che hanno recentemente affiancato la metformina per il controllo della glicemia.

“Siamo di fronte a un grande cambiamento di paradigma nell’uso della metformina, fino ad ora tutte le linee guida hanno raccomandato la metformina come trattamento di prima linea in tutti i casi di diabete di tipo 2. La forza dell’evidenza mostra che questa non è più la strategia corretta.”

I benefici osservati con gli agonisti del recettore del GLP-1 “sono probabilmente derivati dalla riduzione degli eventi correlati all’arteriosclerosi”, affermano gli autori delle linee guida, mentre gli inibitori SGLT2 sembrano ridurre gli endpoints  correlati all’insufficienza cardiaca

Filed Under: News

24 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Vegetariani: cuore “in sicurezza”, ma rischio ictus maggiore

Un ampio studio condotto in Inghilterra indica che le persone che seguono diete vegetariane o vegane hanno minori probabilità di sviluppare cardiopatie, ma presentano maggiori possibilità di avere un ictus rispetto a chi mangia carne. L’evidenza emerge da uno studio dell’Università di Oxford.

Lo studio
I ricercatori hanno seguito 48.188 adulti di mezza età senza alcun attacco cardiaco o ictus nell’anamnesi per circa 18 anni. Durante questo periodo, 2.820 hanno sviluppato una coronaropatia, 519 hanno avuto ictus ischemici e 300 persone ictus emorragici. I vegetariani, inclusi i vegani, avevano il 22 % in meno delle probabilità di sviluppare coronaropatia rispetto ai carnivori. Si tratta di 10 casi in meno su 1.000 persone in un decennio, hanno stimato i ricercatori. Tuttavia, vegetariani e vegani presentavano il 20 % in più delle probabilità di avere un ictus, soprattutto emorragico. In 10 anni ciò si traduce in circa tre ictus in più ogni 1.000 persone nei vegetariani rispetto ai carnivori.

“Sia chi mangiava pesce che i vegetariani avevano in media un BMI più basso e tassi inferiori di ipertensione, ipercolesterolemia e diabete rispetto a chi mangiava carne, il che potrebbe spiegare il rischio inferiore di cardiopatie sia in chi mangia pesce, sia nei vegetariani”, dice la leader dello studio Tammy Tong, epidemiologa nutrizionale presso l’Università di Oxford.

“Il motivo del rischio più elevato di ictus nei vegetariani è meno chiaro, ma alcune recenti evidenze suggeriscono che mentre bassi livelli di colesterolo sono protettivi contro cardiopatia e ictus ischemico, livelli di colesterolo molto bassi potrebbero essere legati a un maggior rischio di ictus emorragico, il sottotipo riscontrato di maggiormente nei vegetariani”, conclude Tong.

Il maggior rischio di ictus in vegetariani e vegani era pari al 43 % in più delle probabilità di un ictus emorragico; non vi era alcuna differenza significativa nei tassi di ictus ischemico tra questo gruppo e chi mangiava carne. Inoltre, non vi era alcuna differenza significativa nel rischio di attacchi cardiaci sulla base delle abitudini alimentari.

La metodologia
I ricercatori hanno valutato le abitudini alimentari con questionari all’inizio dello studio. Alcuni partecipanti hanno completato altri questionari circa 14 anni dopo. Le persone che mangiavano carne, a prescindere che consumassero anche pesce, latticini o uova, sono state classificate come carnivore. All’inizio dello studio erano 24.428 e il 96 % è rimasto carnivoro in base ai questionari alimentari di follow-up. Altre 7.506 persone mangiavano pesce ma non carne all’inizio dello studio e il 57% di tali partecipanti che hanno completato il secondo questionario alimentare ha mantenuto le sue abitudini.

16.254 soggetti hanno iniziato come vegetariani o vegani, non mangiando carne o pesce, e il 73% hanno continuato ad astenersi sulla base dei questionari di follow-up

Filed Under: News

3 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Sonniferi, l’uso frequente potrebbe aumentare il rischio di demenza

L’uso frequente di sonniferi potrebbe aumentare il rischio di sviluppare una demenza negli anni successivi. Lo suggerisce una ricerca condotta dall’Università della California, San Francisco (USA) e presentata all’Alzheimer’s Association International Conference (AAIC) 2019.

Yue Leng e coll. hanno preso in considerazione 3.068 adulti senza demenza di età compresa tra 70 e 79 anni. Inseriti nello studio Health, Ageing e Body Composition (Health ABC). I partecipanti hanno segnalato l’uso di farmaci per il sonno nel periodo 1997-1998 e sono stati seguiti nei 15 anni successivi, fino al 2013. Un totale di 147 (4,8%) partecipanti hanno riferito di aver assunto farmaci per il sonno “a volte” (da 2 a 4 volte al mese), 172 (5,6%) hanno riferito di assumere farmaci per il sonno “spesso” (5-15 volte al mese) o “quasi sempre” (16-30 volte al mese). I pazienti che hanno dichiarato di assumere farmaci per il sonno “spesso” o “quasi sempre” avevano il 43% di probabilità in più di sviluppare demenza rispetto a quelli che non avevano assunto mai o raramente farmaci per il sonno (HR 1,43, IC 95% 1,01-2.02).  Le associazioni sono risultate indipendenti da età, sesso, istruzione, stato socio-economico, fumo, uso di alcool, indice di massa corporea, sintomi depressivi, attività fisica, co-morbilità, genotipo di APOE 4 e disturbi del sonno.

Il sonno come indicatore di salute del cervello

David Knopman, neurologo clinico presso la Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, che ha moderato la presentazione di questo studio al congresso dell’AAIC ha ricordato che: “nel corso della vita, il sonno è chiaramente un indicatore della salute e della salute del cervello in generale: se il sonno è direttamente correlato alla malattia di Alzheimer come causa dell’accumulo di proteine beta-amiloide e tau (indicatori di Malattia di Alzheimer ndr), o se è un marker di salute non specifico è un tema al centro della ricerca.”  Il Ricercatore però fa notare che questi dati non indicano un rapporto causale tra l’uso di farmaci per il sonno e il successivo deterioramento cognitivo. Non si può dire dallo studio che i farmaci per il sonno causino danni cognitivi futuri, ha detto Knopman – Ottenere una migliore comprensione dei meccanismi di questa associazione è un problema chiave per la ricerca futura”.

Yue Leng, primo autore dello studio, ricorda che: “I sonniferi sono uno dei farmaci più frequentemente prescritti negli Stati Uniti tra gli adulti più anziani e si stima che 1 su 5 anziani prende regolarmente i farmaci per il sonno”, ha detto Leng. “Sorprendentemente, gli effetti dell’uso di farmaci per il sonno negli anziani sono poco studiati. La maggior parte delle ricerche precedenti si è concentrata su eventi avversi a breve termine correlati all’uso di farmaci per il sonno, come un aumento del rischio di cadute o un aumento del rischio di perdita della memoria a breve termine. Gli effetti a lungo termine dell’uso di farmaci per il sonno sulle capacità cognitive non sono chiari “, ha osservato Leng.

“Anche se non conosciamo il meccanismo esatto alla base dell’associazione tra sonniferi e maggior rischio di demenza, speriamo che questa ricerca aumenti la cautela tra i medici quando prescrivono farmaci per il sonno ai pazienti ad alto rischio di demenza”,

Filed Under: News

3 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

La vita sessuale protegge il cuore dopo un infarto

I sopravvissuti ad attacchi di cuore con una vita sessuale attiva hanno meno probabilità rispetto alle controparti non attive di morire nei decenni successivi a un primo attacco di cuore. 

I ricercatori – guidati da Yariv Gerber e colleghi dell’Università di Tel Aviv –  hanno seguito per 22 anni 1.120 uomini e donne, che avevano 65 anni o meno al momento del loro primo infarto. Durante il periodo di studio, 524 individui sono morti.

Rispetto alle persone che hanno riferito di non aver fatto sesso nell’anno precedente l’attacco di cuore, coloro che avevano avuto rapporti sessuali più di una volta alla settimana hanno fatto registrare il 27% di probabilità in meno di morire nell’arco del periodo di studio, mentre quelli che avevano fatto sesso settimanalmente avevano il 12% di probabilità in meno e le persone che lo facevano occasionalmente si attestavano all’’8%.

La connessione tra sesso e probabilità di sopravvivenza è apparsa ancora più forte per le persone con vite sessuali attive dopo un attacco cardiaco, ma con differenze minori tra le persone sessualmente attive.

Rispetto ai sopravvissuti che non hanno fatto sesso, quelli che hanno avuto rapporti meno di una volta alla settimana durante il periodo di follow-up hanno avuto il 28% di probabilità in meno di morire, quelle che hanno fatto sesso settimanalmente il 37% e quelle più di una volta alla settimana il 33% di probabilità in meno.

“Non sorprende che le persone sessualmente attive abbiano avuto maggiori probabilità di avere una relazione, fossero più giovani e generalmente più sane”, dice Andrew Steptoe, capo del dipartimento di Scienze comportamentali e salute presso l’University College di Londra nel Regno Unito, non coinvolto nello studio.

Le persone che avevano avuto rapporti più di una volta all’anno nei 12 mesi precedenti il loro attacco di cuore avevano in media 49 anni all’inizio dello studio, rispetto a un’età media di 58 anni di chi non aveva fatto sesso l’anno prima dell’attacco di cuore.

Le persone sessualmente inattive avevano anche maggiori probabilità di avere ipertensione, colesterolo alto, diabete e molteplici problemi di salute cronici nell’anno precedente l’attacco di cuore rispetto a chi aveva fatto sesso più di una volta alla settimana.

Meno della metà delle persone sessualmente inattive ha vissuto con un partner stabile nell’anno precedente l’attacco di cuore, rispetto al 94% delle persone che hanno fatto sesso più di una volta alla settimana. Quando i ricercatori hanno aggiustato i dati per età, stile di vita, altre condizioni di salute e fattori socioeconomici, il legame tra l’essere sessualmente attivi e la sopravvivenza si è indebolito,.

“È possibile che il sesso frequente porti a cambiamenti biologici che aiutano le persone a vivere più a lungo, ha scritto il team di Gerber.

Il sesso regolare è collegato a livelli più alti del testosterone negli uomini e nelle donne. Il basso livello di testosterone è associato sia a un aumentato rischio di malattie cardiovascolari sia a un basso desiderio sessuale, quindi le persone che hanno più rapporti sessuali possono anche avere un rischio inferiore di problemi cardiaci.

È anche possibile che l’essere sessualmente attivi sia un segno di salute migliore piuttosto che una causa di questa. Lo studio non è stato progettato per determinare se o in che modo il sesso potrebbe aiutare i sopravvissuti all’attacco di cuore a vivere più a lungo.

Filed Under: News

3 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Le sette semplici regole che proteggono cuore e cervello

Li chiamano i sette semplici passi salvavita (Life’s simple 7) e sono le raccomandazioni dell’American Heart Association per proteggere la salute dell’apparato cardiovascolare.

Un nuovo studio rivela che seguire queste regole di comportamento da 50 anni di età ha un effetto positivo anche per evitare o allontanare l’insorgenza di demenze e malattie neurodegenerative nei decenni successivi.

I sette comportamenti salvavita  (Life’s Simple 7)

  1. controllare la pressione sanguigna
  2. controllare il colesterolo
  3. tenere bassa la glicemia
  4. rimanere fisicamente attivi
  5. seguire una dieta sana
  6. perdere peso
  7. non fumare

Severine Sabia e colleghi del Dipartimento di epidemiologia dell’invecchiamento e delle malattie neurodegenerative dell’Inserm (Università di Parigi) hanno pensato di verificare l’adesione a questi comportamenti in una popolazione di cinquantenni e poi controllare la possibile associazione con l’incidenza di demenza nei successivi 25 anni. I risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal.

Su 7.899 partecipanti, durante il periodo di follow-up medio di 25 anni, 347 hanno sviluppato demenza a una media di 75 anni d’età. I ricercatori hanno valutato l’aderenza ai sette parametri della prevenzione, attribuendo un punteggio di tre punti per ciascuno di essi.
L’adesione dei partecipanti allo studio è stata classificata: scarsa (punteggio 0–6), intermedia (7–11) e ottimale (12–14).

Dopo l’opportuno aggiustamento statistico per potenziali fattori confondenti, la ricerca ha rivelato che un elevato punteggio di aderenza ai sette parametri di prevenzione cardiovascolare era correlato con un minor rischio di demenza.

Nello specifico, nel gruppo con punteggio scarso, la demenza si è verificata con un tasso di 3,2 casi per 1.000 persone l’anno. Nel gruppo con un punteggio cardiovascolare intermedio, la percentuale era di 1,8/1.000, mentre solo 1,3 casi di demenza per 1.000 persone per anno si sono verificate tra coloro che avevano ottenuto il punteggio più alto.

Gli effetti sul volume del cervello alla risonanza magnetica

Inoltre 771 partecipanti allo studio sono stati sottoposti a esami con risonanza magnetica (RM) per valutare l’associazione tra salute cardiovascolare all’età di 50 anni con il volume del cervello intero (somma della materia grigia e bianca), il volume della materia grigia e il volume della sostanza bianca, nonché con i livelli di iperintensità della materia bianca e atrofia dell’ippocampo  in media dopo 20 anni.

Un punteggio di salute cardiovascolare più elevato (con un incremento di 1 punto) è stato associato a volumi cerebrali più alti in media dello 0,14% ( 0,06% – 0,22%) e volumi di materia grigia più alti dello 0,12% ( 0,06% allo 0,19%). Un più alto punteggio di salute cardiovascolare è stato associato ad una minore atrofia dell’ippocampo, ma i risultati non hanno raggiunto la significatività statistica (P = 0,07).

Gli autori sottolineano che questo studio osservazionale non può stabilire un rapporto di causa-effetto tra l’aderenza ai parametri cardiovascolari e la prevenzione della demenza. Tuttavia i dati indicano che un comportamento salutare per il cuore dopo i cinquant’anni ha effetti positivi anche sulle funzioni cognitive.

“La prevenzione – scrivono gli autori dello studio – è un elemento importante per affrontare la sfida dall’attesa triplicazione dei casi di demenza entro il 2050. I nostri risultati suggeriscono che i parametri dei Life’s Simple 7, che indicano lo stato di salute cardiovascolare all’età di 50 anni possono definire il rischio di demenza in modo sinergico. I fattori di rischio cardiovascolare modificabili sono obiettivi strategicamente importanti per la prevenzione. Questo studio supporta politiche di salute pubblica rivolte a migliorare la salute cardiovascolare a 50 anni per tutelare anche la salute cognitiva.”

Filed Under: News

  • « Previous Page
  • 1
  • …
  • 4
  • 5
  • 6
  • 7
  • 8
  • …
  • 31
  • Next Page »

Leggi il periodico Cuore Vivo

MENU

  • Documenti
  • Associazione Cuore Vivo ONLUS
  • Iscrizioni
  • Donazioni
  • Periodico
  • Contatti

SOCIAL

Seguici anche su Facebook

Copyright © 2025 · ASSOCIAZIONE CUORE VIVO ONLUS - Via della Montagnola, 81 - 60131 Ancona, C.F. 93022590421 - Privacy Policy - Cookie Policy