La lunghezza dei telomeri e l’attività della telomerasi dopo stimolazione delle cellule T sono maggiori nei centenari sani, o high-performing, rispetto ai centenari meno sani, o low-performing. È quanto ha dimostrato una ricerca guidata da Jerry Shay, del Sothwestern Medical Center di Dallas, negli USA. I risultati dello studio sono stati pubblicati da Aging Cell.
La ricerca
Per identificare geni e percorsi coinvolti nel processo dell’invecchiamento in salute e della longevità, il team ha messo a confronto le risposte indotte dalla stimolazione delle cellule T in 19 individui giovani (23-29 anni), 48 di mezza età (50-66 anni), 26 anziani (67-83 anni) e 21 centenari. Per confrontare la funzionalità delle cellule T stimolate, i ricercatori hanno usato il sequenziamento dell’intero genoma RNA, l’attività della telomerasi e il test della lunghezza dei telomeri.
Dai risultati è emerso che l’attività della telomerasi non stimolata non differiva significativamente tra i gruppi, mentre l’attività della telomerasi nelle cellule T stimolate dei centenari era significativamente più alta rispetto al gruppo 63-83 anni e paragonabile a quella del gruppo di 50-66 anni. Inoltre, le cellule T dei centenari prolifererebbero meglio rispetto a quelle degli anziani di 68-83 anni non imparentati con i più longevi.
I centenari più sani avevano anche prestazioni cognitive e fisiche significativamente migliori e avevano meno co-morbidità rispetto ai centenari meno sani. E i centenari più sani avevano una lunghezza media dei telomeri maggiore ed una minore prevalenza di telomeri corti, rispetto ai centenari meno sani.
In un’analisi separata, i ricercatori hanno individuato 264 geni potenzialmente associati con l’invecchiamento in salute e molti di questi erano direttamente regolati dalla lunghezza dei telomeri. Secondo gli autori, questo potrebbe essere uno dei meccanismi alla base dei profili di espressione genica dei centenari sani.
I commenti
I centenari non sono tutti uguali”, sottolinea Shay. “Alcuni sono fragili e alcuni sono molto sani ed esaminando la funzione delle loro cellule immunitarie potremmo separare i centenari in due gruppi senza sapere nulla delle loro funzioni fisiche e cognitive”. “Comprendere le caratteristiche genetiche dei centenari sani può fornire approcci per migliorare lo stato di salute ed eventualmente la durata della vita degli anziani”, continua Shay, “In futuro si riuscirà forse a determinare quando i biomarker della fragilità cominciano a comparire, in modo da intervenire subito per rallentare o invertire alcuni dei sintomi dell’invecchiamento”.