La sedentarietà, ossia uno stile di vita che comprende una quantità di esercizio fisico insufficiente, è considerato uno dei principali fattori di rischio, nelle popolazioni occidentali, per lo sviluppo delle sindromi metaboliche e delle malattie cardiovascolari. Lo scarso movimento è spesso connesso con il tipo di lavoro che facciamo e con le nostre abitudini di vita, ma potrebbe avere anche un legame anche con le scelte alimentari.
Proprio questa indicazione viene da un nuovo studio americano, condotto su animali da laboratorio e su un campione di popolazione sana, che mette in luce un possibile rapporto tra un consumo eccessivo di fosfati inorganici e la sedentarietà.
I fosfati inorganici sono additivi comunemente utilizzati per conservare e dare sapore a diversi alimenti, molto diffusi nella dieta occidentale, come le carni lavorate (wurstel, salsicce e prosciutto), cibi pronti surgelati, bevande a base di cola e molti altri. I fosfati sono derivati dal fosforo, un minerale che svolge funzioni essenziali nel nostro organismo per la formazione delle ossa, per la trasmissione degli impulsi nervosi e la contrazione dei muscoli.
La quantità di fosforo nel sangue è regolata dai reni, ma un eccesso di fosfati assunti con la dieta, può creare difficoltà all’organismo, per questo i fosfati aggiunti sono tenuti sotto osservazione e secondo diversi esperti dovrebbero essere quantificati meglio nelle etichette degli alimenti. Diversi studi hanno evidenziato un legame fra un consumo eccessivo di fosfati aggiunti e un maggior rischio di eventi cardiovascolari soprattutto in soggetti con problemi renali, ma anche nella popolazione generale.
Si stima che tra il 40% e il 70% dei prodotti alimentari più venduti negli Usa contengano fosfati inorganici. Di conseguenza il 25% degli adulti statunitensi assume nella dieta quotidiana una quantità di fosfati da 3 a 4 volte superiore a quella raccomandata.
I ricercatori del Southwestern Medical Center, Università del Texas, Dallas (Usa) si sono proposti di valutare gli effetti dei fosfati inorganici sull’apparato muscolo-scheletrico.
Nella prima fase dello studio due gruppi di topi sono stati sottoposti a una dieta con un tasso di fosfati normale (0,6%) e alto (2,0%). Dopo 12 settimane i roditori che avevano seguito una dieta arricchita di fosfati avevano una minore capacità di esercizio fisico (meno tempo sul tapis roulant e minore fitness cardiaco) rispetto a quelli che avevano seguito una dieta normale. Inoltre, in questi topi risultava una minore capacità di bruciare i grassi per via metabolica. Ulteriori analisi hanno rilevato alterazioni in 5.000 geni implicati nel metabolismo cellulare legato al funzionamento dei muscoli.
Nella seconda parte dello studio, pubblicato sulla rivista Circulation, il team guidato da Wampen Vongpatanasin, del dipartimento di Medicina Interna del Southwestern Medical Center, ha monitorato 1.600 persone sane, confrontando i livelli di fosforo nel sangue con l’attività fisica quotidiana, rilevata con un contapassi nell’arco di 7 giorni. Livelli più elevati di fosfati nel sangue correlavano con abitudini più sedentarie e meno tempo “speso in attività fisica da moderata a vigorosa”.
“I nostri dati – concludono gli autori – dimostrano che un eccesso di fosfati aggiunti nella dieta ha un effetto deterrente sul metabolismo degli acidi grassi del muscolo scheletrico e sulla capacità di esercizio, indipendentemente dall’obesità e dalla funzionalità cardiaca. Il fosforo inorganico presente nei cibi potrebbe rappresentare un nuovo fattore di rischio modificabile per l’inattività fisica.”