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20 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Media età: dieta più sana riduce rischio demenza in età avanzata Una dieta sana in età media è stata associata ad una riduzione del rischio di demenza in età più avanzata.

Un gruppo di ricercatori norvegesi e finlandesi ha condotto uno studio con l’obiettivo d’indagare se i cambiamenti nella dieta in età media possano essere associati con il rischio di demenza più tardi nella vita.

I dati analizzati nello studio sono stati raccolti tra quelli provenienti da un ampio studio di popolazione (n = 2000 – al basale età media di 56 anni) noto con l’acronimo CAIDE (Cardiovascular Risk Factors, Aging, and Dementia). Successivamente i partecipanti sono stati invitati a ritornare al controllo per 2 volte (età media = 70 e 78 anni).

Si procedeva valutando la qualità della dieta (autosegnalata dai partecipanti) in una coorte (n = 341) della popolazione reclutata (follow-up totale medio = 16,8 anni). Inoltre sono stati misurati i cambiamenti in componenti dietetici specifici, avvenuti nella media età (grassi, verdure, zucchero, sale). Sono stati poi considerati i casi nei quali è intervenuta una diagnosi di demenza. Tutte le analisi sono state aggiustate per i potenziali fattori confondenti.

Si è così dapprima evidenziato che i cambiamenti dietetici complessivi effettuati nella media età (miglioramento della qualità dei grassiconsumati, aumento del consumo di verdura, riduzione dello zucchero e del sale) erano significativamente associati a un ridotto rischio di demenza (OR = 0,41).  Tuttavia, quando ogni fattore è stato valutato singolarmente, le associazioni non erano più significative.

I risultati di questo studio evidenziano l’importanza delle raccomandazioni nutrizionali, con più componenti sinergici, nella popolazione di media età per la prevenzione del rischio di demenza in età avanzata.

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6 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Ipertensione: prima dei 40 anni aumenta rischio di ictus e malattie cardiache

Le persone che cominciano a soffrire di ipertensione prima dei 40 anni sono a maggior rischio di malattie cardiache e ictus. È quanto emerge da due ricerche, una statunitense e una coreana, entrambe pubblicate da JAMA.

Nei due studi, i ricercatori hanno valutato l’ipertensione usando i target aggiornati dall’American Heart Association e dall’American College of Cardiology nel 2017, che hanno abbassato la soglia di definizione dell’ipertensione a livelli superiori a 130 mm/Hg per la massima, e 80 mmHg per la minima, mentre prima la soglia era di 140/90.

Nella prima ricerca, il team, guidato da Yuichiro Yano, della Duke University di Durham, nella Carolina del Nord, ha seguito 4.800 giovani americani, rilevando che un aumento della pressione arteriosa prima dei 40 anni si associa a un rischio fino a 3,5 volte più alto di malattie cardiache e ictus, in 19 anni di follow-up.

Il secondo studio, coordinato da Sang Min Park del Seoul National University Hospital, in Corea del Sud, ha analizzato i dati relativi a quasi 2,5 milioni di giovani, per oltre un decennio, riscontrando un’associazione tra l’insorgenza dell’ipertensione prima dei 40 anni e un maggior rischio di malattie cardiache e ictus. In particolare, in quest’ultima ricerca, le donne hanno mostrato un 76% in più di rischio di malattie cardiovascolari, mentre gli uomini avevano l’85% in più di probabilità rispetto ai coetanei con pressione sanguigna normale.

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6 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Fibrillazione atriale: la comparsa di emicrania con “aura” è un fattore di rischio

L’emicrania con aura sarebbe associata a un aumento del rischio di sviluppare fibrillazione atriale. È quanto ha evidenziato un’analisi dello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC), coordinato da Souvik Sen, dell’Università della California del Sud di Columbia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati da Neurology.
Sen e colleghi hanno preso in considerazione i dati dell’ARIC relativi a 1.516 pazienti con emicrania e 9.405 senza, per valutare la possibile associazione tra emicrania con aura e incidenza di fibrillazione atriale. Nel periodo di follow-up di 20 anni, la fibrillazione atriale ha interessato il 18% dei pazienti con emicrania con aura, il 14% dei pazienti con emicrania senza aura e il 17% delle persone che non soffrivano di mal di testa.

Dall’analisi è emerso che i pazienti con qualsiasi tipo di emicrania presentavano un rischio inferiore del 18% di fibrillazione atriale e i pazienti con emicrania senza aura avevano un rischio inferiore del 23%, rispetto ai pazienti che non soffrivano di mal di testa, mentre l’emicrania con aura non risultava associata in modo significativo all’incidenza di fibrillazione atriale. Ma dopo aver aggiustato i dati per età e sesso, l’emicrania con aura è stata associata a un rischio del 39% più elevato di incidenza di fibrillazione.

L’aumento del rischio si è dimostrato più elevato negli uomini e negli over 60 anni, ma non era significativamente aumentato tra le donne che avevano emicrania con aura.

Questa forma di mal di testa, inoltre, è risultata associata a un aumento del 30% di rischio di fibrillazione atriale anche dopo aver aggiustato i dati per la presenza di altri problemi medici. Infine, dopo aver valutato tutti i fattori, l’emicrania con aura è risultata associata a un rischio del 46% più elevato di incidenza di fibrillazione atriale, rispetto all’emicrania senza aura.
“L’emicrania con aura è associata a un aumento del rischio di ictus, in particolare di ictus ischemico-cardioembolico”, sottolinea Sen. “Tra i vari meccanismi ipotizzati per questo aumento c’è l’incidenza di fibrillazione atriale, un’associazione che non è stata mai studiata in nessun ampio studio”.

“La fibrillazione atriale può portare a tromboembolismo a livello dei vasi sanguigni cerebrali che, a sua volta, porta a ictus ischemico”, continua Sen. Così, “una volta che viene rivelata la fibrillazione, il medico può usare scale di valutazione del rischio per determinare la probabilità che il paziente vada incontro a ictus ed avviare una terapia di profilassi”.

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4 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

LA DIETA DEI VICHINCHI MIGLIORE DI QUELLA MEDITERRANEA PER L’ATTIVITA’ FISICA

“Dieta dei vichinghi” 1 : dieta mediterranea 0. L’alimentazione scandinava o nordica, a base di pesce, riso integrale, verdura, mirtilli e frutta secca e povera di zuccheri sarebbe migliore della dieta mediterranea per effetti protettivi dal rischio di acquisire disabilità fisiche e perdere autonomia di movimento con gli anni. A rivelarlo è un lavoro pubblicato sul Journal of the American Medical Directors Association, e condotto in Finlandia tra vari atenei e ospedali, coordinato da esperti dell’Istituto di Salute Pubblica e Welfare di Helsinki.

Lo studio
Gli esperti hanno confrontato il deterioramento dello stato di salute nel tempo di 962 individui di età media 60 anni all’inizio dello studio. La dieta nordica è divenuta molto famosa in questi ultimi anni perché associata a colesterolo basso e perché in grado di favorire il dimagrimento. Si tratta di una dieta bilanciata in realtà molto simile a quella mediterranea, che dà spazio a molta frutta e verdura e naturalmente pesce e frutti di mare.

La differenza sostanziale tra le due diete è che quella nordica si basa su alimenti che crescono meglio nei climi più freddi, quindi ha un più alto consumo di alcune verdure come cavoli, cavoletti di Bruxelles e cavoli. Lo studio ha mostrato che gli individui più fedelmente aderenti alla dieta nordica sono quelli che in assoluto hanno il rischio minore di aver acquisito disabilità fisiche nell’arco di dieci anni di osservazione.

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4 Dicembre 2018 By Associazione Cuore Vivo

Frutta, verdura e succo d’arancia preservano le funzioni cognitive

Un maggior consumo di frutta e verdura nella mezza età aiuta a preservare le funzioni cognitive negli anni successivi. L’indicazione viene da uno studio americano che ha valutato un gruppo di quasi 28mila uomini, che alla partenza della ricerca nel 1986 aveva un’età media di 51 anni.

Lo studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Neurology, è stato condotto da ricercatori del Dipartimento di Nutrizione ed Epidemiologia della Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston (Usa). I ricercatori si sono posti l’obiettivo di valutare gli effetti a lungo termine sulle funzioni cognitive dell’assunzione di frutta e vegetali con la dieta.

La popolazione esaminata è composta da professionisti nel campo della salute nell’ambito dell’Health Professional’s Follow-up Study (HPFS). La media del consumo di vegetali e altri alimenti è stata calcolata con 5 questionari sulla frequenza di assunzione dei diversi cibi, raccolti ogni 4 anni, fino al 2002. Successivamente, nel 2008 e nel 2012, è stata fatta una valutazione dello stato delle funzioni cognitive dei partecipanti, in base alle risposte a un questionario con 6 domande:

  • Hai più problemi del solito a ricordare eventi recenti?
  • Hai più problemi del solito a ricordare una breve lista di oggetti, come una lista della spesa?
  • Hai difficoltà a ricordare le cose accadute pochi istanti prima?
  • Hai qualche difficoltà nel comprendere le spiegazioni o a seguire le istruzioni vocali?
  • Hai più problemi del solito a ricordare gli argomenti di una conversazione o la trama di un programma TV a causa della tua memoria?
  • Hai difficoltà a trovare strade familiari?

In relazione alle risposte ottenute i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: con buone, moderate o scarse funzioni cognitive, autovalutate.

“A nostra conoscenza, questo studio è la più grande ricerca sull’effetto a lungo termine di verdura, frutta e succhi di frutta sulla valutazione soggettiva delle proprie funzioni cognitive”, ha dichiarato il primo autore dello studio, Changzheng Yuan.

I risultati della ricerca dicono che un’assunzione più elevata di verdure totali, di frutta totale e di succhi di frutta sono risultati tutti associati significativamente a una più bassa incidenza di funzioni cognitive moderate o scarse. In particolare, i partecipanti allo studio che avevano l’abitudine di bere ogni giorno una spremuta d’arancia avevano una probabilità sostanzialmente più bassa di avere funzioni cognitive scarse (0,53 [IC 95% 0,43-0,67], tendenza p <0,001).

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