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22 Gennaio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Supplementi nutrizionali, molto spesso non servono

La maggior parte delle persone non ha bisogno di assumere vitamine o supplementi nutrizionali perché possono ottenere tutte le sostanze nutritive di cui hanno bisogno attraverso una dieta sana, secondo quanto sottolinea un articolo pubblicato da Jama-Internal Medicine.

Tuttavia, solo negli USA, sul mercato ci sono più di 90.000 supplementi che includono una vasta gamma di vitamine, minerali e prodotti chimici, e molti di questi non restituiscono i benefici per la salute che pubblicizzano, i come miglioramento del pensiero, della salute cardiovascolare e potenziamento del sistema immunitario.

Per anni molti medici hanno raccomandato alcuni integratori come oli di pesce e multivitaminici. Tuttavia, la ricerca medica più recente tende a ritenere non necessarie queste prescrizioni

“La maggior parte delle vitamine e dei minerali di base sono sicuri alle dosi raccomandate, ma sono anche possibili reazioni negative. Circa 23.000 visite al pronto soccorso ogni anno sono da imputare ai supplementi nutrizionali, spesso derivanti da ingredienti tossici come metalli pesanti, steroidi e stimolanti”, dice Michael Incze della “University of California” di San Francisco, autore dell’articolo pubblicato da Jama-Internal Medicine.

Le persone che seguono una dieta equilibrata ricevono già le vitamine e i nutrienti di cui hanno bisogno e il corpo è in genere più capace di assorbire i nutrienti dal cibo che dagli integratori.

Allo stesso modo, diete vegetariane, vegane, senza glutine, paleo e altri regimi speciali forniscono in genere nutrienti adeguati senza necessità di integrazione.

Anche se i vegani corrono il rischio di carenza di vitamina B12, il latte di mandorla e altri sostituti sono di solito arricchiti con la vitamina per garantire un’adeguata assunzione giornaliera.

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8 Gennaio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Declino cognitivo, con 6 mesi di esercizio fisico la mente ringiovanisce di 9 anni

Bastano 6 mesi di esercizio fisico aerobico per migliorare significativamente funzioni cognitive, almeno quelle esecutive, negli anziani con sintomi di declino cognitivo lieve.

Superati i 65 anni di età una percentuale della popolazione intorno al 15-20% (dati dell’Associazione Alzheimer degli USA) manifesta sintomi di declino cognitivo lieve (mild cognitive impairment MCI) come cali di memoria, difficoltà a prendere decisioni e a focalizzare obiettivi. Sintomi che non sono di una gravità tale da compromettere le attività quotidiane, ma che  comunque possono rappresentare la premessa di una demenza o della malattia di Alzheimer.

In uno studio da poco pubblicato sulla rivista Neurology un gruppo di 160 pazienti con sintomi di MCI, con un’età media di 65 anni, sono stati divisi in quattro gruppi e sottoposti a:

  • un programma di esercizi aerobici,
  • una dieta antipertensiva (Dietary Approaches to Stop Hypertension – DASH),
  • esercizi più dieta DASH,
  • una semplice educazione sanitaria a distanza.

Il programma di esercizi consisteva in sessioni di 45 minuti, tre volte alla settimana, che comprendevano esercizi di riscaldamento seguiti da passeggiate, jogging o ciclismo.

Dopo 6 mesi sono state valutate con appositi test le differenze rispetto alla partenza dello studio per le funzioni cognitive (ragionamento, memoria, capacità esecutive), oltre alla funzionalità cardiorespiratoria, monitorata con stress test su tapis roulant, valori di pressione sanguigna, glicemia e lipidi.

I partecipanti che avevano seguito il programma di esercizi aerobici hanno mostrato miglioramenti significativi nelle funzioni cognitive esecutive, con risultati ancora migliori in chi aveva seguito esercizio fisico e dieta DASH, mentre non si sono rilevate differenze significative con il solo intervento dietetico. Il miglioramento delle funzioni cognitive è risultato associato anche a una riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari. Non si sono sono rilevati miglioramenti nella memoria.

James A. Blumenthal della Duke University Medical Center di Durham (USA), che ha guidato lo studio, spiega che i punteggi delle funzioni esecutive dei partecipanti, all’inizio dello studio, erano equivalenti a quelli di persone di 93 anni, anche se la loro età cronologica era inferiore di una trentina d’anni. Dopo 6 mesi di esercizio fisico, il punteggio medio corrispondeva a quello di persone di 84 anni, il che equivale a un miglioramento di 9 anni nella funzione esecutiva.

Avverte Blumenthal: “Sono necessarie ulteriori ricerche con campioni di popolazione più grandi, per periodi di tempo più lunghi, per valutare se i miglioramenti delle capacità cognitive continuano nel tempo e se tali miglioramenti possono essere raggiunti meglio attraverso approcci di stile di vita multipli, come l’esercizio fisico e la dieta.”

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8 Gennaio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Inghilterra, una campagna antifumo promuove la sigaretta elettronica

Lo scorso 28 dicembre 2018 l’agenzia governativa inglese Public Health England(PHE) ha lanciato una campagna antifumo che ha tra i suoi punti di forza un video shock sui danni provocati dalle sigarette e un messaggio che invita a sfruttare i vantaggi della sigaretta elettronica (e-cig), come ausilio per rinunciare al tabacco. Il messaggio lanciato ai fumatori dalla sanità inglese è che l’utilizzo della sigaretta elettronica provoca il 95% di danni in meno rispetto al fumo di tabacco.

John Newton, uno dei dirigenti del PHE, ha dichiarato: “Sarebbe tragico se migliaia di persone che potrebbero smettere di fumare con l’aiuto di una sigaretta elettronica ne fossero dissuase da falsi miti circa la loro sicurezza.”

L’agenzia sanitaria inglese crede nell’efficacia della e-cig come ausilio per smettere di fumare e non condivide le preoccupazioni, emerse negli Stati Uniti, sulla possibilità che sia un incentivo per cominciare a fumare, soprattutto tra i giovani. Secondo il PHE tra i giovani inglesi l’uso delle e-cig è aumentato fino al 2015 per poi stabilizzarsi e non ci sono dati che dimostrerebbero un aumento di fumatori tra i ragazzi causato dalle sigarette elettroniche. In compenso, il 65-68% dei fumatori inseriti in un programma che prevedeva il passaggio all’e-cig è riuscita a smettere di fumare.

Linda Bauld, professore di politiche sanitarie all’Università di  Stirling (UK) ha detto: “Sono state espresse preoccupazioni circa la possibilità che le e-cig possano portare i giovani verso le sigarette tradizionali. Ma in UK le ricerche mostrano chiaramente che meno dell’1% degli utilizzatori regolari di sigarette elettroniche non è un ex fumatore.”

Va ricordato che la stessa PHE nel febbraio dello scorso anno ha pubblicato una review sulla sigaretta elettronica, che ha fissato le seguenti evidenze:

  • Utilizzare l’e-cig implica solo una piccola parte dei rischi del fumo e passare completamente dal fumo di sigaretta all’e-cig comporta notevoli benefici per la salute.
  • Le sigarette elettroniche potrebbero contribuire a far smettere di fumare almeno 20.000 persone all’anno e forse molte di più.
  • L’uso di sigarette elettroniche è associato a un miglioramento dei tassi di successo dei programmi antifumo e ad un calo accelerato delle percentuali di fumatori.
  • Molte migliaia di fumatori credono erroneamente che la e-cig sia dannosa quanto il fumo; circa il 40% dei fumatori non ha nemmeno provato una sigaretta elettronica.
  • Il pubblico conosce poco gli effetti della nicotina (meno del 10% degli adulti è consapevole che la maggior parte dei danni alla salute causati dal fumo non sono causati dalla nicotina).
  • L’uso delle sigarette elettroniche nel Regno Unito ha raggiunto il livello massimo negli ultimi anni con poco meno di 3 milioni di utilizzatori.
  • Non ci sono prove a supporto della preoccupazione che le sigarette elettroniche siano una strada verso il fumo per i giovani (i tassi di fumo dei giovani nel Regno Unito continuano a diminuire, l’uso regolare è raro ed è quasi interamente limitato a coloro che hanno già fumato).

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8 Gennaio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Il paradosso dell’obesità

Con questa definizione ci si riferisce alla curva a “J” che mette in relazione i valori dell’indice di massa corporea (BMI) con la mortalità, che ha sempre suscitato perplessità, dal momento che dimostra un aumento di mortalità sia per valori elevati di BMI sia per valori al di sotto del range normale.

Occorre però notare un particolare importante: il BMI si ottiene con la statura e con il peso di un soggetto, senza tenere conto della distribuzione e della percentuale di massa grassa e massa magra. Con questo studio alcuni ricercatori hanno utilizzato i dati dell’ U.S. Health Professionals Follow-up Study per verificare l’associazione tra mortalità e massa corporea magra e grassa in 38.000 persone di età compresa tra 40 e 75 anni.

Durante il follow-up di 21 anni si sono verificati 12.400 decessi: si è effettivamente osservata una curva a “J” tra BMI e mortalità generale, ma quando i dati sono stati aggiustati in base a numerose variabili si è vista una relazione lineare tra massa adiposa e decessi da qualsiasi causa, da causa cardio-vascolare, respiratoria e tumorale. Inoltre i soggetti nel quintile superiore di massa adiposa hanno presentato un rischio di decesso maggiore del 35% rispetto ai soggetti nel quintile inferiore.

La curva a “J” è invece stata osservata nella relazione tra massa magra e decessi da cancro o da malattia cardio-vascolare: rispetto ai soggetti nel quintile inferiore ed in quello superiore, i soggetti nel quintile medio hanno presentato un rischio di decesso inferiore dell’8%-10%.

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8 Gennaio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Centenari in forma, il segreto è nei telomeri

La lunghezza dei telomeri e l’attività della telomerasi dopo stimolazione delle cellule T sono maggiori nei centenari sani, o high-performing, rispetto ai centenari meno sani, o low-performing. È quanto ha dimostrato una ricerca guidata da Jerry Shay, del Sothwestern Medical Center di Dallas, negli USA. I risultati dello studio sono stati pubblicati da Aging Cell.

La ricerca

Per identificare geni e percorsi coinvolti nel processo dell’invecchiamento in salute e della longevità, il team ha messo a confronto le risposte indotte dalla stimolazione delle cellule T in 19 individui giovani (23-29 anni), 48 di mezza età (50-66 anni), 26 anziani (67-83 anni) e 21 centenari. Per confrontare la funzionalità delle cellule T stimolate, i ricercatori hanno usato il sequenziamento dell’intero genoma RNA, l’attività della telomerasi e il test della lunghezza dei telomeri.

Dai risultati è emerso che l’attività della telomerasi non stimolata non differiva significativamente tra i gruppi, mentre l’attività della telomerasi nelle cellule T stimolate dei centenari era significativamente più alta rispetto al gruppo 63-83 anni e paragonabile a quella del gruppo di 50-66 anni. Inoltre, le cellule T dei centenari prolifererebbero meglio rispetto a quelle degli anziani di 68-83 anni non imparentati con i più longevi.

I centenari più sani avevano anche prestazioni cognitive e fisiche significativamente migliori e avevano meno co-morbidità rispetto ai centenari meno sani. E i centenari più sani avevano una lunghezza media dei telomeri maggiore ed una minore prevalenza di telomeri corti, rispetto ai centenari meno sani.
In un’analisi separata, i ricercatori hanno individuato 264 geni potenzialmente associati con l’invecchiamento in salute e molti di questi erano direttamente regolati dalla lunghezza dei telomeri. Secondo gli autori, questo potrebbe essere uno dei meccanismi alla base dei profili di espressione genica dei centenari sani.

I commenti

I centenari non sono tutti uguali”, sottolinea Shay. “Alcuni sono fragili e alcuni sono molto sani ed esaminando la funzione delle loro cellule immunitarie potremmo separare i centenari in due gruppi senza sapere nulla delle loro funzioni fisiche e cognitive”. “Comprendere le caratteristiche genetiche dei centenari sani può fornire approcci per migliorare lo stato di salute ed eventualmente la durata della vita degli anziani”, continua Shay, “In futuro si riuscirà forse a determinare quando i biomarker della fragilità cominciano a comparire, in modo da intervenire subito per rallentare o invertire alcuni dei sintomi dell’invecchiamento”.

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