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3 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

L’esercizio fisico allunga la vita. A qualunque età

L’esercizio fisico riduce il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e anche alcuni tumori. A oggi la maggior parte delle ricerche si è soffermata sull’efficacia dell’attività fisica in alcuni momenti della vita degli individui, senza valutarne l’impatto negli anni.

Un gruppo di ricercatori del Regno Unito ha recentemente pubblicato sul British Medical Journal uno studio incentrato sul rapporto tra attività fisica e longevità in uomini e donne di mezza età e anziani.

Lo studio

Un gruppo di ricercatori di Cambridge – guidati da Soren Brage hanno valutato per otto anni i livelli di attività di uomini e donne che all’inizio dello studio avevano tra i 40 e gli 80 anni. Hanno coinvolto 14.599 partecipanti. Dopo i primi otto anni hanno iniziato a monitorare la mortalità e hanno continuato in media per 12,5 anni.

Durante questo periodo, sono deceduti 3.148 partecipanti, di cui 950 per malattie cardiovascolari e 1.091 per cancro.

I ricercatori hanno misurato l’attività fisica complessiva svolta dai partecipanti, prendendo in considerazione il lavoro e il tempo libero, in termini di energia spesa per chilogrammo di peso corporeo.

Hanno osservato che il passaggio da una vita sedentaria ad un’attività fisica moderata per 150 minuti a settimana almeno – livello minimo di esercizio fisico raccomandato dall’OMS – era associato a una riduzione del rischio di morte per qualunque causa del 24%, di morte per malattie cardiovascolare del 29%, di morte per cancro dell’11%.

Tutti i partecipanti hanno beneficiato dell’esercizio fisico, anche coloro che soffrivano di una condizione cronica grave come malattie cardiache o cancro prima dello studio.

La riduzione del rischio di morte era associata all’aumento dell’attività fisica indipendentemente dai livelli di attività pregressi e persino dal peggioramento di altri fattori di rischio come dieta, peso corporeo, anamnesi, pressione arteriosa e livelli di colesterolo nel corso degli anni.

Le persone che hanno raggiunto livelli di attività “medi” durante lo studio avevano il 38% di probabilità in meno di morire rispetto ai sedentari, in caso di alti livelli di esercizio il rischio era ridotto del 42%.

A livello della popolazione, i ricercatori hanno calcolato che almeno 150 minuti a settimana di attività fisica a intensità moderata potrebbero prevenire il 46% dei decessi associati all’inattività fisica.

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23 Luglio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Barbecue estivi senza pensieri: come evitare i rischi per la salute

Un decalogo per “grigliare” in sicurezza. Arrivano dall’American Institute for Cancer Research i consigli per evitare i rischi per la salute causati da una scorretta cottura della carne su barbecue. “Diverse ricerche hanno mostrato che una dieta ricca di carne rossa e lavorata aumenta il rischio di tumori del colon – spiega Alice Bender, Senior Director of Nutrition Programs dell’istituto – e grigliare carne, sia bianca che rossa, ad alte temperature forma sostanze fortemente cancerogene. Ma con pochi piccoli accorgimenti è possibile rendere il barbecue più saporito e anche più salutare”, assicura l’esperta.

Le sostanze cancerogene si generano sia sulla carne stessa, tipicamente sulle parti bruciate, sia a causa delle goccioline di grasso che cadono nel fuoco, che vengono trasformate in idrocarburi che si aggregano al fumo e avviluppano gli alimenti presenti sulla griglia.

Il primo consiglio degli esperti è grigliare diversi tipi di alimenti, non solo le carni rosse, ma anche quelle bianche, il pesce e la verdura. Il pesce, ad esempio, non necessita dei lunghi tempi di cottura delle carni, e quindi sviluppa meno sostanze pericolose. Anche la marinatura, prosegue il decalogo, aiuta a diminuire i rischi, probabilmente per un effetto protettivo della carne da parte dei condimenti usati. Alternare carne e verdure su uno spiedo, avvertono ancora gli esperti, diminuisce l’area esposta alla fiamma ed è quindi più salutare. Erbe e spezie, sottolinea sono molto utili perché contengono antiossidanti che diminuiscono la formazione di sostanze cancerogene.

Altro consiglio è limitare l’esposizione al fumo, mentre è importante pulire bene le griglie per eliminare i residui che rimangono attaccati che hanno la più alta concentrazione di cancerogeni. Un altro accorgimento è ridurre il tempo di cottura, ad esempio tagliando la carne in pezzi più piccoli.

Molto importante è scegliere carbone di legni duri, che bruciano a temperature più basse. E poi ancora, vanno scelte anche carni più magre, o a cui è stato eliminato il grasso, per evitare che questo gocciolando sul fuoco produca sostanze cancerogene, mentre l’ultimo accorgimento è girare spesso la carne, una procedura che riduce i rischi.

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23 Luglio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Colesterolo, le carni bianche sono meglio delle rosse?

Un nuovo studio americano getta un’ombra su una radicata convinzione

Privilegiare il consumo di carni bianche (vitello, maiale, pollame) rispetto alle carni rosse. È una delle raccomandazioni che spesso riceve chi ha problemi di colesterolo alto.

La limitazione del consumo di carni rosse si basano su studi osservazionali che mostrano l’associazione tra un maggior consumo di acidi grassi saturi e livelli più alti di colesterolo Ldl, con conseguente aumento del rischio cardiovascolare. Quindi la sostituzione con carni bianche, che hanno un minor contenuto di grassi saturi, dovrebbe comportare dei vantaggi in termini di controllo del colesterolo e riduzione del rischio cardiovascolare. Un nuovo studio americano mette in dubbio questo schema.

I ricercatori hanno arruolato una coorte di oltre cento uomini e donne tra i 21 e i 65 anni d’età e li hanno suddivisi in tre gruppi. Il primo ha seguito una dieta bilanciata per 4 settimane con un ridotto apporto di carboidrati e una quota di proteine (25) fornita da carni rosse, uova e formaggi. Nel secondo gruppo le carni rosse sono state sostituite da carni bianche, mentre il terzo gruppo ha assunto proteine solo di derivazione vegetale.

I risultati, pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition non hanno mostrato differenze significative nel tasso di colesterolo Ldl dei consumatori di carni bianche, rispetto a chi aveva assunto carni rosse. Mentre è risultato inferiore in chi ha evitato la carne.

Gli autori concludono che: “Questi risultati sono in linea con le raccomandazioni che promuovono diete con un’alta percentuale di alimenti a base vegetale,  ma per quanto riguarda gli effetti lipidici e lipoproteici, non forniscono prove a favore delle carni bianche rispetto alla carne rossa per ridurre il rischio cardiovascolare”.

In un commento a questo studio, apparso sul magazine on line della Fondazione Umberto Veronesi, Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico della Fondazione ha dichiarato:

“Questi risultati confermano che uno schema alimentare con un elevato contenuto di grassi saturi, indipendentemente dalla fonte alimentare, influisce sull’aumento dei livelli di colesterolo Ldl. La novità sarebbe che, con entrambe le categorie di carni, le concentrazioni di Ldl risultano superiori a quelle derivanti da diete con fonti proteiche vegetali. Aumentare queste è un’ottima strategia, se abbinate a un consumo abbondante di verdure, cereali integrali, olio extravergine di oliva, frutta a guscio e pesce. Tutto ciò, assieme all’attività fisica quotidiana, può permettere di controllare i livelli di colesterolo. E, nei casi di ipercolesterolemia lieve, talvolta consentire di ridurre il dosaggio e gli effetti collaterali dei farmaci”.

Questi nuovi dati si aggiungono ai numerosi studi che cercano di stabilire una relazione tra consumo di specifici alimenti, come per esempio la soia o le uova, e i livelli di colesterolo. I dati, a volte contraddittori, indicano che il singolo alimento, senza demonizzazioni o eccessivi entusiasmi, va valutato nel contesto di dieta e stile di vita del singolo paziente.

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23 Luglio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Sonniferi, l’uso frequente potrebbe aumentare il rischio di demenza

L’uso frequente di sonniferi potrebbe aumentare il rischio di sviluppare una demenza negli anni successivi. Lo suggerisce una ricerca condotta dall’Università della California, San Francisco (USA) e presentata all’Alzheimer’s Association International Conference (AAIC) 2019.

Yue Leng e coll. hanno preso in considerazione 3.068 adulti senza demenza di età compresa tra 70 e 79 anni. Inseriti nello studio Health, Ageing e Body Composition (Health ABC). I partecipanti hanno segnalato l’uso di farmaci per il sonno nel periodo 1997-1998 e sono stati seguiti nei 15 anni successivi, fino al 2013. Un totale di 147 (4,8%) partecipanti hanno riferito di aver assunto farmaci per il sonno “a volte” (da 2 a 4 volte al mese), 172 (5,6%) hanno riferito di assumere farmaci per il sonno “spesso” (5-15 volte al mese) o “quasi sempre” (16-30 volte al mese). I pazienti che hanno dichiarato di assumere farmaci per il sonno “spesso” o “quasi sempre” avevano il 43% di probabilità in più di sviluppare demenza rispetto a quelli che non avevano assunto mai o raramente farmaci per il sonno (HR 1,43, IC 95% 1,01-2.02).  Le associazioni sono risultate indipendenti da età, sesso, istruzione, stato socio-economico, fumo, uso di alcool, indice di massa corporea, sintomi depressivi, attività fisica, co-morbilità, genotipo di APOE 4 e disturbi del sonno.

Il sonno come indicatore di salute del cervello

David Knopman, neurologo clinico presso la Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, che ha moderato la presentazione di questo studio al congresso dell’AAIC ha ricordato che: “nel corso della vita, il sonno è chiaramente un indicatore della salute e della salute del cervello in generale: se il sonno è direttamente correlato alla malattia di Alzheimer come causa dell’accumulo di proteine beta-amiloide e tau (indicatori di Malattia di Alzheimer ndr), o se è un marker di salute non specifico è un tema al centro della ricerca.”  Il Ricercatore però fa notare che questi dati non indicano un rapporto causale tra l’uso di farmaci per il sonno e il successivo deterioramento cognitivo. Non si può dire dallo studio che i farmaci per il sonno causino danni cognitivi futuri, ha detto Knopman – Ottenere una migliore comprensione dei meccanismi di questa associazione è un problema chiave per la ricerca futura”.

Yue Leng, primo autore dello studio, ricorda che: “I sonniferi sono uno dei farmaci più frequentemente prescritti negli Stati Uniti tra gli adulti più anziani e si stima che 1 su 5 anziani prende regolarmente i farmaci per il sonno”, ha detto Leng. “Sorprendentemente, gli effetti dell’uso di farmaci per il sonno negli anziani sono poco studiati. La maggior parte delle ricerche precedenti si è concentrata su eventi avversi a breve termine correlati all’uso di farmaci per il sonno, come un aumento del rischio di cadute o un aumento del rischio di perdita della memoria a breve termine. Gli effetti a lungo termine dell’uso di farmaci per il sonno sulle capacità cognitive non sono chiari “, ha osservato Leng.

“Anche se non conosciamo il meccanismo esatto alla base dell’associazione tra sonniferi e maggior rischio di demenza, speriamo che questa ricerca aumenti la cautela tra i medici quando prescrivono farmaci per il sonno ai pazienti ad alto rischio di demenza”,

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4 Luglio 2019 By Associazione Cuore Vivo

Ipertensione da “camice bianco” se non trattata aumentano gli eventi cardiovascolari.

I pazienti con ipertensione da camice bianco non trattata presentano un incremento del rischio di eventi cardiovascolari e mortalità complessiva rispetto a quelli con ipertensione da camice bianco trattata.

Questo dato evidenzia l’importanza di incoraggiare i pazienti a monitorare la pressione anche al di fuori degli ambulatori, e per il medico di integrare le letture pressorie domiciliari come parte importante del piano assistenziale per ciascun paziente, come affermato da Jordana Cohen dell’università della Pennsylvania, autrice di una revisione di 27 studi.

Il rischio cardiovascolare a lungo termine derivante da una lettura isolata ipertensiva in ambulatorio era sinora poco chiaro. I soggetti con ipertensione da camice bianco non trattata vanno monitorati strettamente con misurazioni extra-ambulatoriali per l’eventuale transizione verso l’ipertensione sostenuta.

Questi soggetti presentano infatti un incremento del rischio di sviluppare ipertensione conclamata rispetto a quelli normotesi e la transizione, spesso inosservata, probabilmente determina l’incremento del rischio di cardiopatie e mortalità.

Sono necessari studi futuri per valutare se l’introduzione del trattamento attivo nei pazienti con ipertensione da camice bianco non trattata aiuti a ridurre il rischio cardiovascolare.

Al momento non esistono evidenze a supporto di questa pratica, ed il trattamento potrebbe potenzialmente esporre i pazienti a rischio di ipotensione ed effetti collaterali non necessari, mentre si consiglia il monitoraggio della pressione.

Secondo alcuni esperti l’incremento del rischio cardiovascolare associato all’ipertensione da camice bianco potrebbe riguardare soltanto gli anziani ad elevato rischio cardiovascolare, ma le attuali linee guida USA ed europee raccomandato il monitoraggio extra-ambulatoriale della pressione per tutti i soggetti con ipertensione da camice bianco. (Ann Intern Med online 2019)

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