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31 Ottobre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Carni rosse e processate, si riaccende la polemica dopo nuove linee-guida rassicuranti

Carni rosse e processate di nuovo al centro del dibattito dopo la pubblicazione sugli Annals of internal medicine, nei giorni scorsi, di nuove linee guida, a cura del Consorzio Nutrirecs, secondo le quali non è necessario limitarne il consumo.

In netta contraddizione con quanto, a oggi, viene raccomandato dalle linee guida americane sull’alimentazione che indicano un limite di una porzione a settimana e da quelle inglesi che invitano a non superare i 70 g/die, nonché dai moniti delle maggiori organizzazione scientifiche internazionali, a partire dal  World cancer research fund (Wcrf) e dall’ American institute for cancer research che invitano a un consumo limitatissimo di carne rossa, piuttosto che la Iarc (International agency for research on cancer) afferente all’Oms che ha classificato come “probabilmente cancerogene” le carni rosse e “cancerogene” quelle processate.

Nel lavoro pubblicato sugli Annals, un panel internazionale di ricercatori delle Università canadesi McMaster e Dalhousie ha effettuato cinque revisioni sistematiche della letteratura. La prima, su 12 trial e 54 mila persone, non ha evidenziano una correlazione statisticamente significative tra consumo di carne e rischio di malattia cardiaca, tumori o diabete.

Altre tre sono state condotte su studi di coorte di milioni di persone, evidenziando solo un “piccolo” aumento del rischio con un consumo di carne rossa o processata tre volte alla settimana, rischio sostenuto, dicono gli autori, da prove di bassa qualità.

Infine, una quinta, condotta su comportamenti e gusti dei “carnivori”, sottolinea il loro convincimento che la carne faccia bene alla salute e l’indisponibilità a cambiare comportamenti alimentari di fronte a effetti potenzialmente nocivi.

Così, dunque, le conclusioni della ricerca: non vi sono motivi per modificare il proprio consumo abituale di carne rossa o trasformata (3-4 volte a settimana la media in Nord America ed Europa), sebbene il livello di evidenza di queste affermazioni venga segnalato come medio-basso.

Proteste dalla comunità scientifica internazionale

A questo punto, apriti cielo. Già a scopo preventivo, un gruppo di 13 importanti ricercatori in ambito nutrizionale, tra cui uno dei coautori della ricerca, aveva esortato l’editor in chief degli Annals, Christine Laine, a non pubblicare lo studio, “in attesa di un’ulteriore revisione”: evidenze modeste, sottolineavano in una lettera,  “non sono in alcun modo una base logica o persino razionale per suggerire raccomandazioni”.

In un documento a firma congiunta, il Wcrf e la stessa Iarc, insieme a una decina di prestigiose società scientifiche, si sottolinea come “Il pubblico potrebbe essere messo a rischio se interpreta questa nuova raccomandazione nel senso che può continuare a mangiare tutta la carne rossa e lavorata che vuole senza aumentare il rischio di cancro. In realtà il messaggio da dare è che non dovremmo mangiare più di tre porzioni di carne rossa alla settimana e mangiare poca, se non addirittura per nulla, carne lavorata. Ci atteniamo alla rigorosa ricerca degli ultimi 30 anni ed esortiamo il pubblico a seguire le attuali raccomandazioni sulla carne rossa e sulla carne lavorata”.

Durissima la Harvard school of public health, che sottolinea innanzitutto il fatto come le conclusioni dei ricercatori contraddicano quanto loro stessi raccontano nelle metanalisi che invece, lette correttamente, confermano tutti i rischi legati al consumo di carne. Si definisce sorpresa per il fatto che una rivista così prestigiosa  si sia prestata alla pubblicazione di linee guida, giudicate irresponsabili e non etiche, di un panel autonominatosi, senza alcuna condivisione all’interno della comunità scientifica, ribadendo che non possono in alcun modo essere messe in discussione le evidenze di studi clinici randomizzati ed epidemiologici sui rischi cardiovascolari, metabolici e oncologici legati al consumo di carni rosse e lavorate.

Critiche, infine, anche sul fatto che il lavoro degli Annals non prenda in esame l’impatto ambientale del consumo di carne che invece ha ricadute importanti per la salute.

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31 Ottobre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Dieta giapponese, presidio di longevità e vita in salute

Al fianco della rinomata e apprezzata dieta mediterranea, sta crescendo una sempre maggiore attenzione verso la cucina dell’Estremo Oriente.

Nonostante si differenzino per alimenti e metodi di preparazione, dieta mediterranea e giapponese condividono molti dei nutrienti necessari per una vita lunga e sana: cereali (noi più per pane e pasta, loro più propensi al riso), carni bianche, pesce, legumi (noi più fagioli, ceci, lenticchie, loro più soia), formaggi meno grassi (latticini per i “mediterranei”, tofu per i giapponesi), verdura, frutta fresca e, come condimento, olio d’oliva extravergine contro la soia.

Il tema è stato al centro del convegno “Dieta giapponese e prevenzione oncologica”, promosso a Roma nei giorni scorsi da Astellas, utile occasione per ribadire l’importanza dell’alimentazione nella prevenzione e nella lotta alle patologie oncologiche, con specifico riferimento al carcinoma prostatico.

Dieta mediterranea e giapponese sono considerate da numerosi studi le forme di alimentazione più sane e dal 2014 sono state riconosciute patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco. Tra i principali benefici, si riscontrano una più alta aspettativa di vita e la riduzione di malattie cardiovascolari, diabete e cancro.

Alla dieta mediterranea si associa un’aspettativa di vita di 79 anni, mentre per quella giapponese è di 85. In aggiunta, si riscontra una riduzione del rischio di ictus, cancro e malattia di Parkinson rispettivamente del  25, 22 e 35% con la mediterranea, rispetto a 27, 46 e 50% con la giapponese.

“La presenza di fibre, acidi grassi mono e poli-insaturi, sali minerali e un’elevata quantità di sostanze antiossidanti, tipica delle due tipologie di dieta, fornisce all’organismo una protezione contro i processi infiammatori e contro l’invecchiamento cellulare”, sottolinea Silvia Migliaccio, medico specialista in Scienze della nutrizione umana, e segretario generale della Società italiana di scienza dell’alimentazione. “tali nutrienti svolgono così un ruolo fondamentale nella prevenzione di malattie metabolico-croniche, quali patologie cardiovascolari, diabete mellito e patologie tumorali”.

Sorpresa destano i dati sull’incidenza del cancro prostatico che nei Paesi occidentali arriva, per esempio negli Usa, al 40% mentre in Giappone si attesta intorno al 10%.

“Dal punto di vista clinico, l’alimentazione giapponese risulta efficace nella prevenzione secondo una duplice prospettiva”, dice Andrea Tubaro, direttore UOC di Urologia presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Anzitutto, la dieta giapponese è ricca di cibi come tofu, edamame, germogli di soia, caratterizzati da estrogeni deboli, cioè sostanze di derivazione naturale con una debole attività estrogenica; l’assunzione fin dall’infanzia di cibi con estrogeni deboli genera un’azione protettiva sul tumore della prostata. In secondo luogo, è molto povera di grassi saturi, che sono dannosi per l’organismo poiché innalzano i livelli del colesterolo, la cui alterazione può generare complicanze di tipo cardiovascolare”.

I benefici della “dieta giapponese” nella prevenzione del cancro della prostata sembrano strettamente correlati alla produzione di equolo, metabolita chiave della daidzeina, uno degli isoflavoni glicosidici presenti nella soia. L’equolo si forma dopo idrolisi intestinale della daidzeina e successiva biotrasformazione da parte della flora batterica del colon e risulterebbe in grado di bloccare l’azione del diidrotestosterone (Dht), ormone maschile correlato all’ipertrofia prostatica e al tumore. Inoltre, alcune recenti ricerche hanno evidenziato una benefica correlazione tra dieta giapponese ed evoluzione del tumore prostatico.

Così Marco Silano, responsabile UO Alimentazione, nutrizione e salute all’Istituto superiore di sanità:  “È ormai assodato che esista un rapporto bidirezionale tra i nostri geni e i nutrienti che assumiamo con la dieta. Il patrimonio genetico determina la risposta di ciascun individuo ai nutrienti. Parallelamente, gli stessi nutrienti modificano l’espressione dei geni, silenziandone alcuni e attivandone altri. Tale effetto epigenetico si esercita non solo nell’arco di tutta la vita, ma inizia già durante il periodo fetale, oltre ad avere anche una trasmissione transgenerazionale. Alla luce del rapporto tra cibo e geni, le diete tradizionali, quali la mediterranea e la giapponese, presentano uno stretto legame tra la popolazione, il territorio e le tradizioni culturali, a cui i geni “protettivi” nei confronti delle malattie cronico-degenerative si sono selezionati nel tempo”.

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31 Ottobre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Diabete tipo 2, la prima cosa da fare dopo la diagnosi

Una perdita di peso, anche modesta, nel primo anno dopo una diagnosi di diabete di tipo 2 raddoppia le probabilità di remissione della malattia entro cinque anni.

Lo rivela uno studio inglese, pubblicato sulla rivista Diabetic Medicine, che ha seguito un gruppo di più di 800 persone nei cinque anni successivi alla diagnosi di diabete.

Il messaggio importante che arriva da questo studio è che se si adottano subito provvedimenti per perdere peso, anche senza diete drastiche ed esercizio fisico intenso, si ha la possibilità di fermare o invertire la progressione del diabete che, come è noto, aumenta il rischio di complicanze gravi per cuore, reni, retina.

“Finora – conferma Hajira Dambha-Miller, dell’Unità di Cure Primarie e Salute Pubblica all’Università di Cambridge, UK, primo autore dello studio – ora si pensava che la remissione del diabete fosse ipotizzabile solo con un intervento drastico sulla dieta e un esercizio fisico vigoroso, ma questo studio dimostra che anche modesti cambiamenti nel peso possono cambiare il corso della malattia.”

Lo studio

Lo studio ha preso in esame una coorte di 867 persone, con nuova diagnosi di diabete di tipo 2, con un’età media di 61 anni, comprese nello studio ADDITION-Cambridge, il 61% erano uomini. I partecipanti sono stati identificati attraverso uno screening graduale tra il 2002 e il 2006 e sono stati sottoposti a valutazione di variazione di peso, attività fisica, dieta e consumo di alcol al basale e 1 anno dopo diagnosi. La remissione dal diabete è stata verificata a 5 anni attraverso il dosaggio di emoglobina glicata (HbA1c).

La remissione è stata raggiunta da 257 soggetti (30%). I partecipanti che avevano perso il 10% o più del loro peso corporeo avevano quasi 2,5 volte più probabilità di essere in remissione rispetto a quelli il cui peso era rimasto stabile o aumentato, con un rischio relativo (RR) di 2,43 (P <.01).

Un messaggio per i medici di famiglia

Nella conclusioni dello studio gli autori stressano l’importanza di spingere i pazienti con una nuova diagnosi di diabete di tipo 2 ad adottare subito misure, anche non eccessivamente gravose, per perdere peso.

“Potrebbe esserci una finestra di opportunità dopo la diagnosi quando le persone dovrebbero essere più ricettive agli inviti a sulla perdita di peso”, spiegano gli autori.

Un messaggio rivolto soprattutto ai medici di famiglia, che hanno quasi sempre il primo contatto con la popolazione, in costante aumento, dei diabetici.

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31 Ottobre 2019 By Associazione Cuore Vivo

Ipertensione, i farmaci sono più efficaci se si prendono di sera

Un grande studio di popolazione ha verificato se ci fossero differenze negli effetti della terapia per il controllo della pressione sanguigna, collegate con l’orario in cui il paziente prende le pillole. È risultato che chi prende il farmaco prima di andare a dormire, a confronto con chi lo prende al mattino, ha migliori risultati sulla pressione e soprattutto abbassa il rischio di infarto e altri eventi cardiovascolari.

Lo studio, battezzato Hygia Chronotherapy Trial, è stato condotto nell’ambito delle cure primarie e ha coinvolto 19.084 pazienti ipertesi (10.614 uomini e 8.470 donne, con un’età media di 60 anni) divisi in due gruppi.

Il primo gruppo doveva prendere i farmaci prescritti per l’ipertensione (uno o più) al momento di coricarsi, il secondo gruppo al risveglio. La pressione di tutti i partecipanti è stata misurata all’inizio dello studio e ad ogni visita programmata.

In un follow-up di sei anni 1.752 partecipanti allo studio hanno avuto un evento cardiovascolare importante (infarto del miocardio, rivascolarizzazione coronarica, insufficienza cardiaca, ictus o decesso per cause cardiovascolari).

I risultati, pubblicati sull’European Heart Journal mostrano che i pazienti che hanno assunto i farmaci prima di andare a dormire, rispetto a quelli che lo prendevano al risveglio, hanno mostrato un rischio significativamente più basso per tutti gli eventi cardiovascolari. I ricercatori hanno verificato i risultati anche dopo la correzione per potenziali fattori confondenti, tra cui sesso, età, livelli di colesterolo, abitudine al fumo presenza di patologie renali o diabete di tipo 2.

Inoltre hanno analizzato il rischio per ogni singolo evento, con risultati eclatanti visto che prendere la pillola per la pressione la sera invece che al mattino potrebbe ridurre del 45% il rischio  di morte o eventi cardiovascolari, del 49% quello di stroke, del 44% quello di avere un infarto. Ramón C. Hermida, dell’Università di Vigo (Spagna), coordinatore del progetto, spiega che le attuali linee guida su come trattare la pressione alta non danno indicazioni sul momento migliore della giornata per assumere le pillole:

Assumere i farmaci al mattino – osserva Hermida –  è la raccomandazione più comune da parte dei medici, basata sull’obiettivo fuorviante di ridurre i livelli di pressione arteriosa mattutina

Tuttavia, i risultati precedenti del progetto Hygia hanno dimostrato che il marcatore indipendente più significativo del rischio cardiovascolare è la pressione sanguigna sistolica media durante il sonno. “Inoltre – aggiunge Hermida – non ci sono studi che dimostrano che il trattamento dell’ipertensione al mattino migliori la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari”.

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24 Settembre 2019 By Associazione Cuore Vivo

ricette cena con il dottore

Tortino di ricotta tiepido crema di spinaci.

 

250 gr di Ricotta di mucca

100 cc latte

50 gr parmigiano grattugiato

Sale

Pepe

Noce moscata

 

500 gr di spinaci freschi

1 patata lessata

Sale

Olio extravergine d’oliva

 

Amalgamare tutti gli ingredienti con un frullatore, imburrare degli stampini,  colare il composto e mettere in una teglia con dell acqua e poi mettere in forno a 160° per circa 20 min

 

Per la crema di spinaci, lavare gli spinaci, asciugare e ungerli con olio,scaldare una padella antiaderente a fuoco alto, buttarli e cuocerli con coperchio per 1 min.

Frullare con la patata lessa e olio E.V.O fino a ridurre in crema

 

Avocado, pollo speziato salsa chilly

 

1 Avocado

250 gr di petto di pollo

Sale

Pepe

Curry

Salsa chilly (si trova già pronta nei supermercati) altrimenti potete prepararla così….500 gr polpa pomodoro, il succo di 1 lime, 4 peperoncino rossi lunghi non troppo piccante, 1 cipolla grossa.Rosolare la cipolla il peperoncino,  sfumare con il succo di lime, unire la polpa di pomodoro, sale e portare a cottura .

 

 

 

Pelare l avocado, tagliarlo a metà x la lunghezza e con una rotazione aprirlo.

Togliere il nocciolo e tagliarlo a pezzettoni.

Tagliare il petto di pollo a pezzi, salare ungere ben con olio extravergine di oliva, curry.

Nel frattempo avrete scaldato molto bene una padella, rosolate e portate a cottura il pollo, aggiungendo un poco di acqua e poi olio, alla fine aggiungere e spellare per poco tempo anche  l avocado.

Alla fine versate un cucchiaio,  o più a piacere, di salsa chilly

 

 

Orzotto con ragù vegetariano 

 

150 gr orzo perlato o mondo

1 carota

1 costa di sedano

1 cipolla

1 peperone

1 pomodori

 

Fate cuocere per circa 30 min l orzo su una pentola dove avrete fatto rosolare 1/2 cipolla aggiungete acqua sale grosso 1 pizzico e 1 foglia di alloro.

Al termine scolate l orzo e lasciate un poco della sua acqua di cottura.

Tagliate a pezzetti le verdure, salatele e rosolate con olio in padella per qualche minuto in ultimo mettete i pomodori.

In una casseruola fate soffriggere la cipolla con poco olio, sfumare con vino bianco unire l orzo, cuocere per qualche min,un poco d acqua di cottura,  infine il ragù vegetariano e mantecare con olio extravergine d’oliva.

 

Sgombro arrostito 

 

2 sgombri

Olio extravergine d’oliva

Sale

Pane grattugiato con prezzemolo sale e aglio

 

Sfilettare gli sgombri e lasciarli in acqua fredda e poco sale a spurgare.

Scolare, tamponare con carta assorbente,  condire con olio, sale e pane aromatico.

Cuocerli in padella antiaderente dalla parte della pelle girando 1 sola volta.

Servire con un filo di olio extravergine d’oliva

 

Verza brasata

1 verza

1 cipolla

Olio extravergine d’oliva

Pulire e Lavare la verza. Tagliarla a striscioline.

Tagliare la cipolla a fette.

Cuocere il tutto su una pentola con un po’ di olio, sale e mettere il coperchio.  Aggiungete ogni tanto un poco d acqua portate a cottura in circa 20 -30 min .

Scorciatoia per abbreviare la cottura…

Lessare le foglie di verza in acqua bollente x 5 min …scolare…tagliare a strisce…cuocere per 10 min con la cipolla a fuoco basso.

 

 

Semifreddo alle mandorle 

 

Ricetta abbastanza complessa per non esperti.

 

3 tuorli

100 gr zucchero

50 acqua

3 albumi

100 zucchero

50 acqua

250 panna

Mandorle pelate e fatte a croccante

200 gr mandorle

100 zucchero

1 cucchiaio acqua

 

Montare l albume per qlc min…mettere su un pentolino acqua e zucchero…portare a bollore fino che non raggiunge 120 ° , avrete bisogno di un termometro per le prime volte, aggiungete lo sciroppo di zucchero agli albumi e continuate a montare fino a raffreddare.

Fate la stessa cosa con i tuorli.

Monntate la panna non troppo soda.

Fate il croccante mettendo in pentola acqua e zucchero, le mandorle. Quando avranno preso un bel colore brunito, spegnete e versate il composto sopra un foglio di carta forno.

Quando raffreddato tritate.

Unire i tuorli montati, alla panna, mescolando dal basso verso l alto piano  per non far smontare, unire il croccante, infine gli albumi mescolando sempre dal basso verso l’alto piano.

Mettete in stampo tipo Plumcake o stampini singoli, in congelatore per almeno 24 ore.

Sformare e servire

 

 

 

 

 

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