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24 Luglio 2018 By Associazione Cuore Vivo

Fast food, più ce ne sono più aumenta il rischio CV

Uno studio olandese ha trovato un’associazione tra maggiore densità di fast food e incidenza di malattie cardiovascolari. Ulteriore riprova della necessità di corretta alimentazione come insegna CuoreVivo con la “Settimana del pesce azzurro”

 

Gli alimenti tipici dei fast food, ricchi di grassi e zuccheri e poveri di fibre, se consumati abitualmente possono costituire un pericolo per la salute del nostro sistema cardiovascolare. Tra i più recenti studi che lo documentano c’è una ricerca su animali da laboratorio che ha mostrato come assumendo questo tipo di alimenti l’organismo degli animali reagisce attivando una reazione infiammatoria simile a quella per un’infezione batterica, che, a lungo andare, può favorire l’aterosclerosi e squilibri metabolici che portano al diabete.

Una conferma sul campo della pericolosità dell’abitudine a frequentare i fast food viene da un originale studio olandese, pubblicato su Circulation, prestigiosa rivista scientifica dell’American Heart Association, che ha indagato la relazione tra densità di fast food in un determinato territorio ed ipertensione, ictus, infarto, insufficienza cardiaca.

Consultando i registri nazionali olandesi i ricercatori hanno costruito una coorte di 2.472.004 adulti con 35 o più anni d’età, senza malattie cardiovascolari al 1 gennaio 2009, che hanno vissuto allo stesso indirizzo per almeno 15 anni. I partecipanti sono stati seguiti per un anno per rilevare l’incidenza di malattie cardiovascolari, inclusi ictus, malattia coronarica e insufficienza cardiaca.

È stata poi verificata la relazione tra malattie cardiovascolari e il numero di fast food presenti nel raggio di 500, 1000 e 3000 metri. Il dato statistico è stato poi aggiustato considerando età, sesso, etnia, stato civile, co-morbidità e densità di popolazione della zona.

È risultato che nelle aree urbane l’incidenza di malattie cardiovascolari e coronariche era significativamente più alta nelle aree di 500 m contenenti uno o più fast food rispetto alle aree prive di questi punti vendita. Un aumento della presenza dei fast food entro 1000 m era associato ad un aumento significativo dell’incidenza di malattie cardiovascolari e coronariche. L’evidenza era meno pronunciata per le aree di 3000 m.

Gli autori concludono che in un’area urbana di 1000 metri una maggiore presenza di fast food risulta associata a una più alta incidenza di malattie cardiovascolari. Occorrono ulteriori studi per approfondire altri fattori come lo stile di vita e le condizioni ambientali, che possono incidere su questo dato.

 

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19 Luglio 2018 By Associazione Cuore Vivo

Strategie per non riprendere il peso perduto

La termogenesi adattiva descrive la riduzione della spesa energetica totale giornaliera (TDEE) (incluso RMR e dispendio energetico non a riposo (NREE)) in risposta al deficit energetico, oltre a quella prevista dai cambiamenti nella composizione corporea, ed è implicata in una ridotta capacità di continuare laperdita di peso.

Mentre tassi più lenti di perdita di peso consentono una maggiore perdita di massa grassa (FM) e la conservazione della massa priva di grasso (FFM), questo non riduce il declino adattativo in RMR dopo il 10% di perdita di peso.

Con una perdita di peso iniziale del 10%, RMR e NREE mostrano declini simili, mentre con una ulteriore perdita di peso la risposta adattiva è inferiore, interessando prevalentemente NREE. L’RMR inferiore predice l’aumento di peso futuro indipendentemente dal BMI o dalla composizione corporea di base.

La flessibilità metabolica è la capacità di transizione tra l’ossidazione dei grassi e dei carboidrati in base alla loro disponibilità. L’inflessibilità metabolica aumenta con l’obesità e l’insulino-resistenza, riducendo sia l’ossidazione del grasso a digiuno che l’ossidazione dei carboidrati in condizioni stimolanti l’insulina.

Individui precedentemente obesi hanno mostrato una riduzione delle reazioni di ossidazione a digiuno e  postprandiale dei grassi rispetto ai controlli corrispondenti.

Il declino associato alla perdita di peso nei componenti del metabolismo combinato con l’ossidazione soppressa del grasso, a riposo e post-prandiale, predispongono gli individui che hanno perso peso a un maggiore accumulo di grasso e al successivo recupero di peso.

Uno studio recente ha confrontato il tasso metabolico a digiuno e post-prandiale e l’utilizzo del substrato, sia FFM assoluto e per kg, insieme a valutazioni di appetito soggettivo tra
(1) individui con riduzione del peso, mantenuto con successo;
(2) individui  con perdita di peso ma recidivanti, che l’hanno riacquistato;
(3)  i loro rispettivi controlli abbinati al BMI senza alcuna perdita di peso

Quali fattori comportamentali (assunzione alimentare, comportamento alimentare e attività fisica) e quale composizione corporea (esiti secondari) tra questi gruppi differiscono e quale è la loro associazione con RMR?

Sono stati reclutati quattro gruppi di donne: ridotto sovrappeso / obeso (RED, n 15), controlli (peso stabile a peso ridotto, LSW, n 19) BMI <27 kg / m2; recidive-sovrappeso / obesi (REL, n 11), controlli (peso stabile sovrappeso / obeso, OSW, n 11) BMI> 27 kg / m2.

Sono stati misurati la composizione corporea (impedenza bioelettrica), il test di tolleranza al glucosio orale da 75 g, il metabolismo a riposo e il metabolismo postprandiale (MR) e l’utilizzo del substrato (RER) e l’attività fisica (accelerometro (7 d)). Sono stati completati questionari socioeconomici e richiami dietetici 3 × 24 h.

MR, RER e assunzione totale giornaliera di energia (TDEI) non erano diversi tra i controlli RED e REL.

RED consumava meno carboidrati, più proteine e praticava più attività fisica, ma comportamentalmente ha dimostrato un maggiore contenimento della dieta rispetto ai controlli. Il TDEI, l’assunzione di macronutrienti e l’attività fisica erano simili tra OSW e REL.

Le donne con peso ridotto avevano un RMR simile (aggiustato per la massa senza grasso) rispetto ai controlli senza alcuna perdita di peso.

I ricercatori concludono che un’aumentata attività fisica, un maggiore apporto proteico e una maggiore massa muscolare magra potrebbero aver compensato la compensazione metabolicaassociata alla perdita di peso e messo in evidenza la loro importanza nei programmi di mantenimento del peso.

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17 Luglio 2018 By Associazione Cuore Vivo

Mandorle e cioccolato abbassano il colesterolo “Cattivo”

Mandorle e cioccolato come ottimi alleati del cuore. Se assunti con moderazione, sembra aiutino a ridurre il rischio di malattie cardiache, in particolare quelle coronariche. A rivelarlo è una ricerca della Pennsylvania State University, pubblicata su Journal of the American Heart Association.

La ricerca           
Gli studiosi hanno preso in esame 31 persone di età compresa tra i 30 e i 70 anni. Per un mese, i partecipanti non hanno mangiato nessuno degli alimenti nello studio. Nel successivo periodo di un mese, hanno invece assunto 42,5 grammi di mandorle al giorno, in una fase successiva hanno mangiato 43 grammi di cioccolato fondente in combinazione con 18 grammi di polvere di cacao e in ultimo invece tutti e tre i cibi.

Lo studio ha mostrato che le mandorle consumate da sole abbassavano il colesterolo ‘LDL’, quello cosiddetto cattivo, del 7% e anche in combinazione col cioccolato risultavano ridotte le piccole particelle dense di LDL che sono un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

Il cioccolato fondente da solo, invece, non aumentava né diminuiva i livelli di colesterolo. “Da questo studio arriva un messaggio importante. Le mandorle devono essere parte di una dieta sana” conclude Penny Kris-Etherton, autrice principale dello studio

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17 Luglio 2018 By Associazione Cuore Vivo

Sovrappeso e diabete sono responsabili di quasi il 6% dei tumori nel mondo

Diabete e alto indice di massa corporea (BMI ≥25) vanno considerati i fattori responsabili del 5.6% dei nuovi casi di tumore nel mondo. Queste le conclusioni a cui arriva uno studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology che ha analizzato la relazione tra prevalenza di diabete e obesità e l’insorgenza di tumori legati a questi fattori di rischio in 175 paesi del mondo.

Lo studio, firmato da epidemiologi dell’Imperial College of London (UK) ha preso in considerazione 12 tipi di tumore legati a questi due fattori di rischio secondo le indicazioni di IARC (International Agency for Research on Cancer) e WCRF (World Cancer Research Fund).

Tumori maschili

Tumore del colon-retto
Tumore della cistifellea
Tumore del fegato
Tumore del pancreas
Tumore del rene
Tumore dell’esofago
Tumore dello stomaco
Mieloma multiplo
Tumore della tiroide

Tumori femminili

Tumore del seno
Tumore endometriale
Tumore del colon-retto
Tumore della cistifellea
Tumore del fegato
Tumore del pancreas
Tumore del rene
Tumore ovarico
Tumore dell’esofago
Tumore dello stomaco
Mieloma multiplo
Tumore della tiroide

Partendo dalle stime di prevalenza di diabete e alto indice BMI nella popolazione generale nell’anno di 2002 i ricercatori hanno ipotizzato un intervallo di dieci anni per rilevare l’incidenza di nuovi tumori e quindi hanno fatto una stima del numero di casi di cancro nel 2012 attribuibili ad aumenti nella prevalenza di diabete e alto indice di massa corporea tra il 1980 e il 2002.

La stima parla, a livello globale, di 792.600 casi di tumore, dei quali 544.300 (3.9% del totale) attribuibili al sovrappeso e 280.100 (2%) legati al diabete. Nelle donne i casi di cancro attribuibili a entrambi i fattori sono il doppio rispetto agli uomini. Questa associazione interessa soprattutto i paesi occidentali ad alto reddito (38,2%), seguiti dai paesi dell’Asia orientale e sudorientale (24,1%).

“Mentre l’obesità è stata associata al cancro già da un po’ di tempo, l’associazione con il diabete è abbastanza recente – afferma Jonathan Pearson-Stuttard, l’autore principale dello studio -. Il nostro studio mostra che invece questa patologia è responsabile di centinaia di migliaia di cancri in tutto il mondo ogni anno”.

L’altro dato preoccupante riguarda le previsioni di un aumento di questi tipi di tumore, legato al prevedibile aumento di sovrappeso e diabete nella popolazione generale. I ricercatori stimano che nel 2025 la percentuale di tumori correlati a diabete e alto indice BMI potrebbe crescere di oltre il 30% nelle donne e del 20% negli uomini.

“L’aumentata incidenza di diabete e obesità a livello globale  – ribadisce Pearson-Stuttard – potrebbe condurre ad un sostanziale aumento di percentuale dei tumori attribuibili a questi fattori di rischio, se non si interviene. Queste proiezioni destano particolare preoccupazione, anche in considerazione degli elevati costi del cancro e delle malattie metaboliche e sottolineano la necessità di migliorare le misure di controllo e di aumentare la consapevolezza del legame tra cancro, diabete ed elevato BMI”.

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17 Luglio 2018 By Associazione Cuore Vivo

Battere il diabete 2: missione possibile Guarire dal diabete di tipo 2 con la dieta: uno studio inglese dimostra che è una “mission possible”

Il diabete di tipo 2 colpisce una persona su 11 nel mondo; questo studio apre importanti prospettive di intervento: la perdita di peso nell’ambito dello studio DiRECT è stata ottenuta attraverso una dieta liquida a basso contenuto calorico (poco più di 800 calorie al giorno suddivisi in 4 “bibitoni”) condotta per 3-5 mesi. Lo studio è stato interamente condotto in un contesto di cure primarie.

I pazienti con diabete di tipo 2 possono invertire la condizione se si attengono a una dieta liquida a bassissimo contenuto calorico, di circa 850 kcal al giorno per 3-5 mesi, reintroducendo gradualmente il cibo, con il supporto continuo per il mantenimento della perdita di peso che include strategie per aumentare l’attività fisica e la terapia cognitivo-comportamentale.
Questo è il messaggio dei risultati di 1 anno di un trial randomizzato in aperto per la gestione del peso guidato dai medici di famiglia per la remissione del diabete di tipo 2 (Diabetes Remission Clinical Trial [DiRECT]).

Risultati dello studio impressionanti: la diagnosi del diabete è il momento migliore per ridurre il peso!

Questo studio differisce in modo importante dalla maggior parte dei precedenti in quanto è stato condotto in condizioni di vita reale, supportato da infermieri locali o dietisti disponibili piuttosto che da personale specializzato. Inoltre, nessun precedente studio registrato ha stabilito la remissione del diabete di tipo 2 come risultato primario.

Gli individui di età compresa tra 20 e 65 anni a cui era stato diagnosticato il diabete di tipo 2 negli ultimi 6 anni, con un indice di massa corporea compreso tra 27 e 45 kg / m² e che non stavano ricevendo insulina, sono stati invitati a partecipare per lettera tramite il loro medico.

L’intervento (n = 149) comprendeva la sospensione dei farmaci antidiabetici e antiipertensivi, unadieta sostitutiva totale (825-853 kcal / die per 3-5 mesi, ricca di carboidrati, povera di grassi e ricca di proteine) seguita dalla reintroduzione graduale degli alimenti (oltre 2-8 settimane) e da un supporto strutturato per il mantenimento a lungo termine della perdita di peso. Ai partecipanti è stato fornito un supplemento di fibra di guar per aiutare a combattere la stitichezza e gli è stato consigliato di bere molta acqua.

I restanti 149 pazienti nel gruppo di controllo hanno ricevuto le migliori pratiche di cura secondo le linee guida.

I pasti sono stati reintrodotti uno alla volta, con la raccomandazione di seguire una dieta con il 50% di carboidrati, il 35% di grassi e il 15% di proteine. Sono stati forniti contapassi e i pazienti sono stati incoraggiati a raggiungere 15.000 passi al giorno durante questa fase di riabilitazione.

Gli esiti primari erano la perdita di peso di almeno 15 kg e la remissione del diabete, che era definita come livello di HbA1c inferiore al 6,5%, esclusi tutti i farmaci.

A un anno, il peso corporeo medio è sceso di 10,0 kg nel gruppo di intervento e 1,0 kg nel gruppo di controllo.

Il risultato primario della perdita di peso di 15 kg o più è stato raggiunto in 36 (24%) partecipanti al gruppo di intervento e da nessun partecipante nel gruppo di controllo (P <.0001).

Oltre il 46% dei pazienti  ha raggiunto la remissione del diabete nel gruppo di intervento e, quando l’analisi è stata limitata a coloro che hanno perso 10 kg o più, la percentuale diremissione del diabete è salita al 73%!

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